Cellule CAR-T

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INTRODUZIONE

 

Le terapie cellulari basate sull’infusione delle CAR-T sono considerate tra le più interessanti e innovative frontiere della medicina. Oggi la ricerca si concentra in particolare in campo oncologico e i risultati più significativi si sono ottenuti nelle leucemie acute linfoblastiche a fenotipo B (LAL- B) e nei linfomi non-Hodgkin a cellule B (LNH). Sono inoltre in corso studi anche per altre neoplasie ematologiche: mieloma multiplo, leucemia linfatica cronica e leucemia mieloide acuta. Nei tumori solidi invece, l’impiego delle cellule CAR-T diventa più complesso per la maggiore difficoltà di identificare “bersagli” idonei, tuttavia numerosi trial sono attualmente in corso.

Ad oggi, la terapia cellulare con CAR-T rappresenta la prima forma di terapia genica approvata per il trattamento di malattie onco-ematologiche refrattarie e in recidiva come la LAL del bambino e del giovane adulto e alcune forme aggressive di LNH.

L’autorizzazione commerciale da parte della European Medicines Agency (EMA) è stata ottenuta per due prodotti anti-CD19 CAR-T: tisagenlecleucel (tisa-cel, KymriahTM, Novartis) e axicabtagene ciloleucel (axi-cel, YescartaTM, Gilead), CAR-T di seconda generazione con specificità anti-CD19 (Figura I).

 

Figura I: Costrutto CAR dei prodotti Yescarta e Kymriah.

 

Tisagenlecleucel è indicato sia per il trattamento di pazienti pediatrici e giovani adulti fino a 25 anni di età affetti da LAL-B recidivata e/o refrattaria (R/R) dopo trapianto allogenico di cellule staminali (allo-TMO) o dopo almeno due linee di chemioterapia, che per il trattamento di pazienti con linfomi diffusi a grandi cellule B (DLBCL) R/R sottoposti ad almeno due linee di chemioterapia sistemica.

Axicabtagene ciloleucel è stato approvato invece per il trattamento di pazienti con DLBCL R/R e per il trattamento di pazienti con linfoma a grandi cellule B primitivo del mediastino R/R sottoposti ad almeno due precedenti linee di terapia.

Un terzo tipo di cellule CAR-T anti-CD19, lisocabtagene maraleucel (liso-cel), ha già fornito risultati preliminari promettenti nell’ambito di studi clinici, ma non è ancora stato approvato da enti regolatori.

 

STRUTTURA

 

Il termine CAR (Chimeric Antigen Receptor) identifica un recettore trans-membrana chimerico, che viene introdotto all’interno di un linfocita competente attraverso una transfezione virale mediante l’utilizzo di vettori lentivirali o retrovirali. Il TCR del linfocita viene quindi sostituito da questa nuova proteina ibrida, il CAR, che è costituito da tre domini: un dominio extracellulare, un dominio transmembrana e un dominio intracellulare.

Il dominio extracellulare è il responsabile del riconoscimento dell’antigene da parte della cellula CAR-T ed è costituito da un segmento variabile a singola catena (single-chain variable fragment, ScFv), derivante dall’unione, mediante un linker, di un segmento della catena leggera e di uno della catena pesante delle immunoglobuline.

Il dominio intracellulare è invece deputato all’attivazione della cellula T e si basa sulla fosforilazione di ITAM presenti nel dominio citoplasmatico di CD-3ζ. La composizione strutturale differente del dominio intracellulare determina CAR-T di differenti generazioni. La prima generazione di CAR-T è costituita dalla singola catena CD3ζ, senza la presenza di un segnale costimolatorio, mentre la seconda e terza generazione di CAR-T presentano all’interno del dominio intracellulare, in combinazione con la catena CD3ζ, delle molecole costimolatorie: rispettivamente il CD28 o il CD137 (4-1BB), o singolarmente o in associazione (Figura II).

 

Figura II: Differenze nella struttura del recettore CAR nella I, II e III generazione.

 

MANIFATTURA E FASI DI PRODUZIONE

 

il linfocita T viene ingegnerizzato attraverso l’utilizzo di vettori virali o di metodiche non virali. Attualmente i metodi più consolidati di produzione delle cellule CAR-T si avvalgono di piattaforme con vettori virali (retrovirus o lentivirus).

Attraverso tali virus viene trasdotta la sequenza genica del dominio di riconoscimento antigenico che generalmente deriva dalle porzioni variabili delle catene anticorpali o del TCR. Tale dominio viene espresso sulla membrana del linfocita T e una porzione transmembrana lo lega alla porzione intracellulare del recettore rappresentata dalla catena z del CD3, responsabile della trasduzione del segnale e dell’attivazione del linfocita T (Kalos M et al, 2011). Questo tipo di struttura permette di combinare la specificità del riconoscimento anticorpale MHC-indipendente con le potenzialità anti-tumorali dei linfociti T, conferendo così qualsiasi specificità antigenica al linfocita T (Figura III).

 

Figura III: Overview del processo di manifattura delle CAR-T autologhe. Copyright 2014 Novartis.

 

Questi linfociti CAR, definiti di prima generazione, hanno presentato una importante capacità di riconoscimento della neoplasia in vitro, associata, però, a una limitata attività anti-tumorale in vivo dovuta all’esaurimento funzionale e all’anergia dei linfociti CAR-T.

Con lo sviluppo di recettori CAR di seconda generazione, caratterizzati dall’inserimento, all’interno della porzione intracellulare, di domini costimolatori costituiti dalle molecole CD28, 41BB o OX40, sono state prodotte nuove cellule CAR-T, che presentano un maggiore capacità di produzione di citochine e di espansione in vivo (Carpenito C et al, 2009; Ritchie DS et al, 2013).

La scelta del dominio costimolatorio impatta sulla persistenza (mesi per il CD28 vs anni per il 4-1BB) e sull’espansione in vivo (picco più elevato per il CD28) delle cellule CAR-T (Quintas-Cardama A, 2018). La combinazione di multipli domini di trasduzione del segnale (CD3z-CD28-41BB oppure CD3z-CD28-OX40) ha permesso anche lo sviluppo di CAR-T di terza generazione con un’attività anti-tumorale e una persistenza ulteriormente incrementate (Drent E et al, 2018; Guercio M et al, 2020).

La complessità e l’innovazione dell’iter che porta alla terapia con CAR-T non dipende solo dalla possibilità di ingegnerizzare i linfociti, ma è caratterizzata da un ampio processo di produzione o manifattura che prevede diverse fasi che terminano con l’infusione del prodotto divenuto farmaco.

La prima fase inizia con la leucoaferesi per la raccolta di cellule mononucleate da sangue venoso periferico del paziente, seguita da separazione su Ficoll per raccogliere i linfociti T. Il timing dell’aferesi al fine di garantire la presenza di un numero adeguato di linfociti T è variabile e dipende da numerosi fattori soprattutto secondari al numero e al tipo di trattamenti cui il paziente è stato sottoposto precedentemente.

Una bassa resa aferetica di cellule CD3+ può portare ad una ridotta espansione delle cellule CAR-T in vitro. Inoltre, la qualità dell’aferesi può essere compromessa sia da una bassa conta pre-aferetica delle cellule CD3+, sia da un’elevata quota di cellule natural killer (NK) e di blasti nel sangue venoso periferico. Diversi studi clinici hanno riportato come alcuni subset di linfociti T (naive, central memory, memory stem cell) presenti nel concentrato aferetico sembrano mostrare vantaggi funzionali (Golubovskaya V et al, 2016; Gattinoni L et al, 2017).

I linfociti T raccolti vengono inviati presso i laboratori di produzione e manipolazione cellulare (cell factory) per essere attivati, ingegnerizzati e, successivamente, espansi in vitro. L’attivazione del linfocita T avviene mediante coltura con un anticorpo anti-CD3 in presenza di interleuchina-2 (IL-2) ricombinante. Le cellule stimolate vengono trasdotte con un vettore virale contenente un gene CAR anti-CD19 e poi propagate in coltura al fine di generare un numero sufficiente di cellule CAR-T per la somministrazione. Esistono tre tipi principali di vettori utilizzati per applicazioni cliniche: retrovirali, lentivirali ed il sistema non virale tramite trasposone/trasposasi. I vettori retrovirali sono stati i primi ad essere utilizzati e sono attualmente impiegati in circa un quinto degli studi clinici (Ramos CA et al, 2011). I vettori lentivirali sono più ampiamente utilizzati e, a differenza dei vettori retrovirali, sono in grado di trasdurre cellule non in divisione, mantenendo la stessa capacità di integrarsi nel DNA e mostrando un profilo d’integrazione genomica più sicuro, almeno nel contesto delle cellule staminali emopoietiche geneticamente modificate (Ramos CA et al, 2011). Il sistema non virale di trasduzione ed integrazione trasposone/trasposasi (ad esempio il sistema Sleeping Beauty) è stato più recentemente utilizzato nel tentativo di superare alcuni limiti della trasduzione virale (immunogenicità, costi di produzione, limiti nella grandezza del gene da trasdurre). Il sistema si basa su un trasposone, sequenza di DNA o RNA “mobile”, all’interno del quale è contenuto il gene del recettore CAR, e da una trasposasi, enzima che ne regola la trasposizione nel DNA del linfocita (Singh H et al, 2015). Studi clinici sono in corso per valutare l’efficacia delle CAR T prodotte con questa metodica (Kebriaei P et al, 2016).

A seconda della strategia di ingegnerizzazione scelta per la produzione del linfocita CAR, ci sono poi diverse piattaforme di espansione disponibili. Una volta prodotte, le cellule CAR-T devono passare i sistemi di qualità e vengono criopreservate diventando un farmaco che ritorna al centro di cura per essere reinfuso al paziente.

Al fine di creare “spazio” sufficiente nel paziente per permettere l’espansione in vivo delle cellule CAR, da una settimana a due giorni prima dell’infusione è prevista la seconda fase del processo che è rappresentata dalla chemioterapia di linfodeplezione. Lo schema di linfodeplezione più utilizzato è quello che prevede la combinazione di fludarabina e ciclofosfamide (FC), questo perché, rispetto ad altri schemi che non prevedevano l’uso di fludarabina, FC ha dato i migliori risultati sia di espansione in vivo che di persistenza del clone CAR- T (Turtle CJ et al, 2015).

Infine, terza fase, il prodotto CAR-T può essere infuso nel paziente, previo scongelamento.

Generalmente, il tempo mediano di produzione delle CAR-T cell è di 12 giorni (range: 7-22 giorni) (Wang X et al, 2016; Roddie C et al, 2019). Questo significa che ci sono tempi di attesa del farmaco, che possono arrivare anche a 4-5 settimane. Bisogna tener conto di questo intervallo quando si prevede di trattare i pazienti con patologie altamente aggressive.

 

TOSSICITÀ DELLA TERAPIA CON CAR-T

 

L’immunoterapia con cellule CAR-T si è dimostrata in grado di indurre risposte cliniche rapide e durature, ma è anche associata allo sviluppo di tossicità acute che possono essere severe o addirittura fatali. Le CAR-T possono causare lo sviluppo di eventi avversi con diversi meccanismi e si riconoscono, infatti, due principali tossicità legate all’utilizzo dell’immunoterapia: la tossicità autoimmune e la tossicità associata al rilascio di citochine.

La tossicità autoimmune, la cosiddetta “on-target off-tumor toxicity”, deriva dal riconoscimento da parte del linfocita CAR-T dell’antigene target espresso anche sui tessuti sani, che possono essere così danneggiati come nel caso dei linfociti B normali che vengono depleti dalle CAR-T anti-CD19 (Lee DW et al, 2014; Brudno JN et al, 2016a].

La tossicità più comunemente osservata in corso di terapia con CAR-T è nota come sindrome da rilascio di citochine (CRS), la cui severità dei sintomi può variare dalla presenza di sintomi costituzionali, come febbre e astenia, fino allo sviluppo di un’insufficienza multiorgano; in rari casi, la CRS può evolvere nella sindrome da attivazione macrofagica (MAS).

Il secondo più frequente evento avverso correlato alla terapia con CAR-T è la neurotossicità, l’encefalopatia CAR-T cell-relata (CRES), più recentemente definita come ICANS o “Immune effector cell-associated neurotoxicity syndrome” dall’American Society for Transplantation and Cellular Therapy (ASTCT, precedentemente ASBMT), al fine di comprendere l’intera pletora di sintomi neurologici che possono presentarsi, e non solo i segni di encefalopatia che comunque rimane la manifestazione più frequente (Lee DW et al, 2019). I segni di ICANS possono insorgere contemporaneamente alla CRS o seguirla, oppure possono presentarsi tardivamente anche in assenza di CRS. La maggior parte di queste tossicità si risolvono in poche settimane, ma per ridurne la morbilità e mortalità è richiesto un monitoraggio intensivo del paziente al fine di intervenire prontamente, se necessario (June CH et al, 2018; Neelapu SS et al, 2018; Veradarajan I et al, 2019) (Figure IV e V).

 

Figura IV: Meccanismi patogenetici della CRS e dell’ICANS (June CH et al, 2018).

 

Figura V: Timeline della tossicità CAR-T mediata (Veradarajan I et al, 2019).

 

Sindrome da rilascio di citochine (CRS)

 

La sindrome da rilascio citochinico è innescata dall’attivazione delle cellule T a seguito del riconoscimento da parte del recettore TCR o CAR dell’antigene bersaglio espresso sulla cellula tumorale. Le cellule T così attivate rilasciano citochine e chemochine (IL2, IL-2R-alpha, IFN-gamma, IL-6, IL-6R, GM-CSF), così come fanno anche i monociti/macrofagi (che producono e rilasciano IL-1R-alfa, IL-10, IL-6, IL-8, CXCL10, CXCL9, IFN-alfa, CCL3, CCL4, IL-6R), cellule dendritiche e le cellule endoteliali attivate.

La CRS tipicamente si manifesta con l’insorgenza di sintomi costituzionali, come febbre, mialgie, astenia, anoressia, ipotensione, ma può portare ad un interessamento sistemico con coinvolgimento cardiovascolare, respiratorio, epatico, renale e neurologico (Figura VI).

 

Figura VI: Presentazione clinica della CRS (Brudno JN et al, 2016a)

 

Il tempo di insorgenza di questa sintomatologia può essere abbastanza variabile, da alcune ore a più di una settimana dopo l’infusione delle CAR-T (Brudno JN et al, 2016a).

Il rischio di sviluppare CRS e il grado di severità è influenzato da diversi fattori correlati al tipo di terapia di linfodeplezione, allo stato della malattia e alle caratteristiche dei pazienti. Il burden di malattia è tra i più importanti fattori clinici correlati con la severità della CRS, soprattutto nella LAL (Davila ML et al, 2014). Anche la dose infusa del prodotto CAR-T correla con la gravità della CRS (Lee DW et al, 2015; Murthy H et al, 2019) (Tabella I).

 

Tabella I: Fattori di rischio per la CRS (Murthy H et al, 2019).

 

Vari studi hanno dimostrato l’esistenza di una forte correlazione tra i livelli ematici di CAR-T circolanti e quelli sierici di IL-6 con il grado di severità della CRS sviluppata (Teachey DT et al, 2016). L’IL-6 è una citochina pleiotropica con proprietà anti-infiammatorie e pro-infiammatorie, che può attivare il signaling intracellulare attraverso due vie: il “cis-signaling”, in cui l’IL-6 si lega direttamente al complesso IL-6R-gp130 di membrana, e il “trans-signaling”, in cui l’IL-6 si lega al recettore solubile di IL-6 e così, come complesso recettore-ligando, si lega alla gp130 espressa sulla membrana cellulare. Il recettore di IL-6 (IL-6R) è espresso solo sulla membrana di alcuni tipi cellulari (macrofagi, neutrofili, linfociti T, epatociti), mentre la gp130 è espressa sulle cellule in maniera ubiquitaria. Il cis-signaling è attivato da bassi livelli di IL-6 circolanti, interessa solo poche popolazioni cellulari e media effetti anti-infiammatori. Il trans-signaling, invece, predomina in presenza di elevati livelli sierici di IL-6 (come succede nella CRS), interessa vari tipi cellulari e media effetti pro-infiammatori.

È per questo motivo che il tocilizumab, anticorpo monoclonale anti-IL-6R, è considerato il farmaco di prima scelta per il trattamento della CRS di grado moderato-severo.

In generale il trattamento della CRS si basa sul grado di severità. Fino ad oggi sono stati utilizzati nelle diverse istituzioni numerosi algoritmi per la valutazione del grado di severità della CRS: Lee criteria, UPenn criteria, CARTOX score ed altri ancora, senza un vero consenso sulla definizione dei diversi gradi di severità sui quali poi intervenire con una terapia specifica (Lee DW et al, 2014; Porter D et al, 2018; Neelapu SS et al, 2018). Al fine di armonizzare tutti questi score e di creare un consenso unico sulla valutazione del grado di tossicità e la sua gestione, l’ASTCT ha prodotto delle linee guida pubblicate recentemente (Lee DW et al, 2019) (Tabella II).

 

Tabella II: ASTCT consensus sul garding di severità della CRS

 

L’utilizzo del tocilizumab per il trattamento della CRS non modifica l’efficacia della terapia con CAR-T in termini di tasso di risposte globali (overall response rate, ORR), remissioni complete (RC) e durata di risposta. Il trattamento con corticosteroidi, invece, in considerazione della loro capacità di deprimere l’attività dei linfociti T e di indurne l’apoptosi, era limitato al trattamento di CRS non rispondenti alla terapia con tocilizumab (Neelapu SS et al, 2018). Infatti, fino a poco tempo fa, l’uso dei corticosteroidi era limitato ai casi più gravi in quando si temeva che il loro uso potesse inficiare l’efficacia della terapia cellulare con CAR-T, tuttavia nuove esperienze di real life hanno evidenziato che anche un utilizzo precoce degli steroidi, in caso di necessità, non compromette l’attività della CAR-T e non influisce negativamente sull’outcome del paziente in termini di PFS e OS (Liu S et al, 2020). In un recente lavoro è stato dimostrato che anche l’utilizzo molto precoce dei corticosteroidi nel trattamento della CRS non influisce sull’efficacia delle CAR-T (Gardner RA et al, 2019).

 

Neurotossicità CAR-T mediata

 

La neurotossicità CAR-T cell relata (ICANS) si manifesta tipicamente come una encefalopatia su base tossica, con comparsa di difficoltà di attenzione, disturbi dell’eloquio e della scrittura; altri segni e sintomi che includono confusione, disorientamento, agitazione, afasia sonnolenza e tremori.

In caso di ICANS severa (grado >2) possono comparire anche convulsioni, deficit di forza, incontinenza, obnubilamento del sensorio, aumento della pressione intracranica, papilledema ed edema cerebrale con un potenziale rischio per la vita del paziente (Tabella III).

 

Tabella III: Manifestazioni neurologiche e psichiatriche riportate con l’utilizzo dei due prodotti CAR-T approvati (ASTCT consensus).

 

La presentazione di una ICANS può avere un andamento bifasico: la prima fase può comparire insieme alla febbre o ad altri sintomi di CRS, tipicamente entro i primi 5 giorni dall’infusione delle CAR-T, mentre la seconda fase insorge sulla coda della CRS, generalmente dopo i 5 giorni dall’infusione.

I sintomi dell’ICANS tipicamente persistono per 2-4 giorni, ma la loro durata può variare da poche ore fino a settimane. Generalmente la ICANS che insorge insieme alla CRS tende ad essere di più breve durata e minor severità (grado 1-2), rispetto alla ICANS che insorge post-CRS, che è più protratta e di grado più severo (>3). La ICANS, comunque, è generalmente reversibile, anche se sono stati riportati aneddotici casi fatali.

La terapia con tocilizumab è utile solo nel caso di associazione tra ICANS e CRS, mentre generalmente non risulta efficace nella seconda fase, per la quale i corticosteroidi rappresentano il trattamento di scelta.

Il meccanismo fisiopatologico che determina la ICANS non è ancora stato pienamente compreso, ma sono state ipotizzate due possibili spiegazioni. Da un lato, la diffusione passiva delle citochine attraverso la barriera ematoencefalica potrebbe essere responsabile dell’insorgenza della sintomatologia neurologica, ipotesi supportata dall’evidenza che elevati livelli di IL-6 e IL-15 sono associati allo sviluppo di neurotossicità severa in pazienti trattati con CAR-T. Dall’altro, alla base dello sviluppo della neurotossicità potrebbe esserci il passaggio diretto delle cellule T attraverso la barriera ematoencefalica, come indicato dal ritrovamento delle CAR-T nel liquido cefalorachidiano in pazienti con CRES, in assenza di localizzazione di malattia a livello del sistema nervoso centrale.

Come per altre tossicità d’organo, anche per la gravità della ICANS sono stati utilizzati diversi criteri come il CTCAE v4.03 o il CARTOX-10.

Anche nel caso dell’ICANS, l’ASTCT ha proposto dei criteri unificati per la valutazione del grado di severità e del trattamento associato (Tabella IV) (Lee DW et al, 2019).

 

Tabella IV: ICANS grading secondo l’ASTCT consensus.

 

Come per la CRS, anche la gestione della ICANS dipende dal grado di severità: una ICANS di grado 1 è trattata prevalentemente con terapia di supporto, mentre per gradi di severità maggiori si utilizzano principalmente costicosteroidi, associati al tocilizumab nel caso in cui la sintomatologica neurologica compaia in concomitanza con un quadro di CRS.

 

Sindrome da attivazione macrofagica

 

La sindrome da attivazione macrofagica (MAS) comprende un gruppo di disordini immunologici caratterizzati dall’iperattivazione di macrofagi e linfociti, produzione di citochine pro-infiammatorie, infiltrazione dei tessuti da parte di elementi linfoistiocitari ed insorgenza di insufficienza multiorgano immuno-mediata.

I pazienti che sviluppano CRS a seguito dell’infusione di CAR-T presentano manifestazioni cliniche e laboratoristiche simili a quelle dei pazienti con MAS: febbre, disfunzione multiorgano, sintomatologia neurologica, elevati livelli di ferritina, LDH e citochine (come IFN-g e IL-6) e bassi livelli di fibrinogeno. Pertanto, la CRS e la MAS sembrano appartenere allo stesso spettro di disordini infiammatori sistemici, ma mentre la CRS risponde al trattamento con tocilizumab o corticosteroidi, la MAS refrattaria e fulminante, che si osserva in circa l’1% dei pazienti trattati con terapia CAR-T, necessita di terapia addizionale essendo gravata da una elevata mortalità se non trattata prontamente.

I pazienti con sospetta MAS e con una tossicità d’organo di grado >3 dovrebbero essere trattati con terapia anti-IL-6 e corticosteroidi, come per la CRS, e, in assenza di miglioramento clinico entro 48 ore, la terapia con etoposide dovrebbe essere considerata.

 

INDICAZIONI

 

Leucemia acuta linfoblastica a fenotipo B (LAL-B)

 

Nel contesto delle LAL-B, sono stati sviluppati linfociti T autologhi ingegnerizzati con recettori CAR diretti contro l’antigene CD19, fortemente espresso dalle cellule leucemiche, e contro l’antigene CD22. Tali linfociti una volta espansi in vitro vengono reinfusi nel paziente previo trattamento di linfodeplezione.

I primi studi con CAR-T anti-CD19 hanno riportato, tanto nelle casistiche pediatriche che adulte, risultati molto incoraggianti, con tassi di remissione completa (RC) compresi tra il 70% e il 94% (Maude SL et al, 2014), variabili a seconda della popolazione e dello stato di malattia, generalmente molto avanzata.

Nello studio pilota di registrazione ELIANA (Maude SL et al, 2018) che ha coinvolto più di 25 centri arruolanti, 107 pazienti sono stati sottoposti a screening iniziale e 92 arruolati. L’età media dei partecipanti era di 11 anni. La maggior parte dei partecipanti aveva fallito tre o più precedenti linee di trattamento ed il 61% aveva ricevuto un precedente trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (allo-TMO). Pazienti a cui era stato precedentemente somministrato blinatumomab sono stati esclusi. Dei 92 arruolati, 91 sono stati sottoposti a procedura aferetica e 75 sono stati trattati. Il tempo mediano dall’arruolamento nello studio all’infusione è stato di 45 giorni. Dei 75 che hanno ricevuto il trattamento con cellule CAR-T (CTL019/tisagenlecleucel), 72 hanno ricevuto una chemioterapia di linfodeplezione con fludarabina e ciclofosfamide, mentre nei restanti 3 non è stata eseguita la linfodeplezione per marcata leucopenia. La dose mediana di cellule infuse è stata di 3,1 × 106/kg, con un intervallo di dose compreso tra 0,2 × 106/kg e 5,4 × 106/kg. Una CRS è stata osservata nel 77% dei pazienti; nel 48% dei casi la tossicità era di grado 3 o superiore. Per quanto riguarda la neurotossicità, è stata osservata nel 40% dei pazienti e nel 13% dei casi è stata di grado severo. Tutti i pazienti sono andati incontro a regressione dei sintomi neurologici.

La durata mediana del follow-up è stata di 13,1 mesi e la durata mediana della remissione non è stata raggiunta al momento della pubblicazione dello studio. A 3 mesi di follow-up, il tasso di remissioni cliniche è stato dell’81% e tutti coloro che avevano ottenuto una remissione clinica risultavano anche MRD negativi. A 6 e 12 mesi dall’infusione, rispettivamente, la sopravvivenza libera da eventi (EFS) è stata del 73% e del 50% mentre la sopravvivenza globale (OS) è stata del 90% e del 76%. Le cellule CAR-T sono state riscontrate in circolo per una mediana di 168 giorni (da 20 a 617 giorni) suggerendo che l’immunosorveglianza con questo prodotto sembra durare a lungo.

I risultati preliminari di questo studio hanno portato alla approvazione di tisagenlecleucel da parte della Food and Drug Administration (FDA), con specifica indicazione terapeutica nelle LAL-B pediatriche e del giovane adulto (età inferiore ai 25 anni) recidivate o refrattarie. Tale prodotto ha ricevuto successivamente l’approvazione anche dall’EMA ed è attualmente l’unico prodotto cellulare disponibile per il trattamento delle LAL-B R/R.

Numerose esperienze sono state pubblicate anche riguardanti pazienti adulti: sono stati riportati gli aggiornamenti sotto forma di abstract dei protocolli di fase I/II ZUMA-3 e ZUMA-4 (Shah BD et al, 2019; Lee DW et al, 2017), in cui è stato utilizzato il prodotto KTE-X19 (stesso costrutto di Yescarta ma differente modalità di manifattura), entrambi per pazienti con LAL-B R/R ad alto tumor burden. Nello studio ZUMA-3 sono stati trattati 45 pazienti (età mediana: 46 anni, range: 18-77). Dei 41 pazienti con un minimo di 2 mesi di follow-up, il 68% dei casi presentava una RC o una RCi; il 73% dei casi presentava una MMR negativa, valutata mediante citofluorimetria a flusso. Sono stati segnalati due eventi avversi di grado 5 correlati alla terapia: un infarto cerebrale e un’insufficienza multiorgano, entrambi nel contesto di una CRS. Nello studio ZUMA-4 sono stati arruolati 5 pazienti con età inferiore a 25 anni. Un paziente ha avuto una tossicità di grado 5 (mucormicosi disseminata), nei restanti 4 pazienti è stata documentata una RC, associata a negativizzazione della MMR. Le esperienze riportate confermano la fattibilità della procedura (inclusa la manifattura ed il trasporto), con percentuali di fallimenti nella produzione delle CAR-T nel 7% dei casi, come riportato nello studio ELIANA.

Nell’ambito dei pazienti adulti, sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati del follow-up a 29 mesi di uno studio di fase I del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center (MSKCC) per pazienti con LAL-B R/R trattati con CAR-T autologhe di seconda generazione, denominate CAR-T 19-28z (Park JH et al, 2018). Sono stati arruolati 83 pazienti con una età media di 44 anni (range: 23-74); di questi, 53 sono stati effettivamente trattati. A 21 giorni dall’infusione è stata effettuata la prima valutazione della risposta: 44/53 pazienti (83%) mostravano una RC ematologica. La valutazione della MRD, mediante citofluorimetria, è stata possibile in 48/53 pazienti: di questi, 32 presentavano una negativizzazione della MMR, confermando i risultati finora ottenuti in termine di risposte precoci. Ad un follow-up mediano di 29 mesi, la EFS mediana è di 6,1 mesi (95% CI: 5-11,5 mesi), mentre la OS mediana è di 12,9 mesi (95% IC: 8,7-23,4 mesi). Inoltre, gli autori hanno dimostrato che pazienti con basso tumor burden (blasti midollari <5%) hanno una EFS e una OS significativamente migliori rispetto alla coorte con alto tumor burden (blasti midollari 5% o malattia extramidollare): 10,6 vs 5,3 mesi (p=0,01) e 20,1 vs 12,4 (p=0,02) mesi. Inoltre, non sono state osservate differenze, in termini di sopravvivenza, tra i pazienti che hanno eseguito un trapianto allogenico di midollo o meno dopo il trattamento con CAR-T.

Al Fred Hutchinson Seattle Cancer Center è stato condotto uno studio di fase I/II di fattibilità, tossicità ed efficacia in adulti con LAL-B R/R del trattamento con CAR-T anti-CD19 di seconda generazione basata sul 4-1BB, che includeva una porzione troncata dell’EGFR per aiutare nella rilevazione in vivo e per l’eventuale eliminazione tramite l’anticorpo monoclonale anti-EGFR cetuximab (Hay KA et al, 2019). Dal materiale aferetico sono stati selezionati linfociti T CD4+ e linfociti T CD8+. Sia i linfociti CD4 che i linfociti CD8 sono stati messi in coltura ​​con una linea cellulare linfoblastoide allogenica CD19+ in associazione con l’IL2. Le cellule sono state infuse in un rapporto CD4:CD8 1:1. Sono stati arruolati 59 pazienti con un’età media di 39 anni, il 43% dei casi era già stato sottoposto ad un alloTMO. Quarantacinque dei 53 pazienti (85%) a cui sono state somministrate le CAR-T risultavano in RC MRD- (valutata in citometria a flusso ad alta risoluzione). Ad un follow-up mediano di 30,9 mesi, la EFS e la OS erano significativamente migliori nei pazienti che avevano raggiunto una RC MRD-. Il 40% dei pazienti ha sviluppato una CRS, che nel 19% dei casi è stata di grado 3 o superiore. Una neurotossicità è stata osservata nel 23% dei pazienti. Sono state identificate due popolazioni che mostravano una prognosi differente. I pazienti con prognosi migliore sono risultati quelli con livelli di LDH bassi e una conta piastrinica elevata pre-linfocitoaferesi, quelli che non avevano richiesto una terapia bridge tra aferesi e infusione, quelli con basso tumor burden in assenza di sedi extranodali e quelli che avevano ricevuto fludarabina durante la linfodeplezione. I pazienti con queste caratteristiche hanno presentato una EFS del 78% e una OS dell’86% a 2 anni, mentre quelli che non le possedevano mostravano una EFS ed una OS a 2 anni del 13% e 29%, rispettivamente. Si identifica così un sottogruppo di pazienti con LAL-B R/R a prognosi sfavorevole che probabilmente beneficerebbe di un consolidamento con metodiche trapiantologiche.

Numerosi protocolli sono attualmente in corso per pazienti con LAL-B R/R per valutare l’efficacia e la sicurezza di nuovi prodotti CAR-T, tra i quali quelli con CAR-T bispecifiche, con recettori contro sia il CD19 che il CD22, nel tentativo di ridurre il fenomeno dell’escape antigenico e delle recidive CD19 negative. I dati provvisori di uno studio di fase I/II attualmente in corso hanno confermato la sicurezza e la potenziale efficacia di tale approccio (Amrolia PJ et al, 2018).

 

Linfomi diffusi a grandi cellule B

 

Diversi studi multicentrici hanno indagato l’efficacia dell’utilizzo delle CAR-T anti-CD19 nei pazienti affetti da DLBCL R/R sottoposti ad almeno due linee di terapia sistemica. Nonostante i differenti domini costimolatori usati, la possibilità di eseguire terapia bridge, la popolazione in studio e la durata del follow-up, per i due prodotti approvati (axi-cel, tisa-cel) gli studi multicentrici hanno riportato una significativa efficacia (Quintas-Cardama A, 2018). Nello ZUMA-1, studio multicentrico registrativo di fase I-II, axi-cel (CD3zeta/CD28 CAR) è stato somministrato a 108 pazienti con DLBCL, linfoma primitivo del mediastino (PMBCL) e linfoma follicolare trasformato (TFL) refrattari, definiti tali secondo i criteri dello studio SCHOLAR-1 (progressione di malattia o malattia stabile in corso di chemio-immunoterapia sistemica o recidiva di malattia entro 12 mesi da un trapianto autologo di cellule staminali). I pazienti arruolati avevano età >18 anni, ECOG 0-1 ed erano stati precedentemente trattati con almeno 2 linee di terapia contenenti antracicline ed anticorpi anti-CD20 (Neelapu SS et al, 2017). L’endpoint primario dello studio di fase I era la valutazione della sicurezza della terapia con axi-cel e per lo studio di fase II, il tasso di risposta globale (ORR). Endpoint secondari erano la OS, la PFS e la durata della risposta. In questo studio le CAR-T sono state prodotte con un tasso di successo del 99% ed infuse dopo una mediana di 17 giorni dalla leucoaferesi. Con un follow-up mediano di 27,1 mesi, i tassi di ORR e CR sono stati dell’83% e 58%, rispettivamente. La durata mediana di risposta è stata di 11,1 mesi. La mediana di OS non è stata raggiunta, con una percentuale di sopravvivenza stimata a 24 mesi del 50,5%. La PFS mediana è stata di 5,9 mesi. Il 48% dei pazienti ha avuto eventi avversi di grado severo >3 (SAE); tutti questi SAE sono stati trattabili e reversibili. Dodici pazienti (11%) hanno sperimentato una CRS di grado >3 e 35 pazienti (32%) hanno avuto una tossicità neurologica di grado >3. Sono state riportate due morti correlabili al trattamento, legate allo sviluppo di CRS (Locke FL et al, 2019).

Attualmente è in corso lo studio ZUMA-7 (studio di fase III, internazionale, randomizzato) che indaga l’efficacia e sicurezza di axi-cel versus terapia standard per il trattamento di seconda linea in pazienti con DLBCL R/R (Oluwole OO et al, 2018).

Il JULIET, studio multicentrico internazionale di fase II, ha utilizzato le CAR-T CTL019 (tisagenlecleucel) per il trattamento di pazienti con DLBCL o TFL refrattario dopo 2 linee di terapia contenenti antracicline e anti-CD20, o recidivato dopo autotrapianto, o non eleggibile a questo. L’endpoint primario dello studio era la valutazione del tasso di ORR. Gli endpoint secondari erano l’OS, la durata della risposta, la sicurezza e la cinetica delle CAR-T. A differenza dello studio ZUMA-1, in questo studio è stato consentito l’utilizzo di una chemioterapia bridge per prevenire un’eventuale progressione di malattia. Il tempo mediano dall’arruolamento alla ricezione del prodotto CAR-T è stato di 54 giorni (il 90% dei pazienti è stato sottoposto all’infusione tra 30 e 92 giorni dopo l’arruolamento). Nello studio sono stati arruolati 165 pazienti, di cui il 67% (111 pazienti) ha ricevuto l’infusione di CAR-T. La dose mediana di CTL019 infusa è stata di 3,1×108 cellule. Con un follow-up mediano di 14 mesi, su 93 pazienti trattati, l’obiettivo primario dello studio è stato raggiunto: ORR del 52% con una CR del 40%. A 12 mesi dall’ottenimento della risposta, il tasso stimato di relapse-free survival (RFS) è stato del 65% (79% per i pazienti in CR). I tassi di ORR e CR sono stati del 38% e 32% a 3 mesi e del 33% e 29% a 6 mesi, rispettivamente. Il tipo di regime di condizionamento utilizzato non ha mostrato differenze statisticamente significative in termini di risposta. La PFS mediana è stata di 2,9 mesi e la OS mediana di 11,9 mesi. Il 58% dei pazienti ha sviluppato CRS (22% di grado 3-4) ed il 21% tossicità neurologica (12% di grado >3). Non si sono verificate morti attribuibili alla terapia con tisagenlecleucel (Schuster SJ et al, 2019).

Lo studio TRANSCEND-001, studio di fase I in corso, valuta invece l’utilizzo delle JCAR017 (liso-cel, anti-CD19 con dominio costimolatorio 4-1BB), terzo prodotto CAR-T per i linfomi in via di approvazione. A differenza di axi-cel e tisa-cel, la produzione di liso-cel trasduce ed espande separatamente le cellule T CD4+ e CD8+ per poi somministrarle al paziente in un rapporto fisso 1:1. Questo studio ha criteri di inclusione più ampi rispetto ai precedenti due: DLBCL recidivato/refrattario, TFL, linfoma follicolare (FL) di grado 3B, linfoma mantellare e PMBCL. Anche pazienti con linfoma trasformato da linfoma marginale, sindrome di Richter e recidivati dopo trapianto allogenico sono inclusi. La terapia bridge per prevenire le recidive di malattia è concessa. La coorte dei DLBCL è stata ulteriormente suddivisa in due gruppi: CORE e FULL. La coorte CORE include pazienti con linfoma double e triple hit e DLBCL; la coorte FULL include i pazienti della prima coorte più i pazienti con DLBCL trasformato da leucemia linfatica cronica, linfomi della zona marginale, PMBCL, FL di grado 3B, pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali o con ECOG pari a 2. Con un follow-up mediano di 8 mesi, l’interim analisi dei risultati dello studio di fase I ha mostrato che l’80% dei pazienti trattati ha raggiunto una risposta obiettiva e la durata mediana di risposta non è stata raggiunta. Il tasso di OS non è ancora stato riportato, ma il tasso di ORR a 6 mesi è stato del 47%. I risultati sono paragonabili a quelli ottenuti dallo ZUMA-1 (Abramson JS et al, 2018).

In considerazione dell’esiguo numero di pazienti trattato in ogni studio, della differenza delle popolazioni arruolate, dei tempi di follow-up e del differente disegno dei singoli studi, non è possibile paragonare i diversi prodotti CAR-T in termini di efficacia e tossicità. Si rendono pertanto necessari ulteriori studi clinici per stabilire la possibile reale esistenza di differenze in termini di efficacia e sicurezza tra i tre diversi prodotti CAR-T di seconda generazione utilizzati.

 

STUDI CLINICI IN CORSO IN ALTRE NEOPLASIE EMATOLOGICHE

 

Numerosi studi clinici sono attualmente in corso per valutare l’efficacia e la sicurezza della terapia con cellule CAR-T con vari target malattia-specifici, in altre patologie ematologiche.

Mieloma multiplo

 

La terapia cellulare adottiva con cellule CAR-T è attualmente in fase di studio anche in pazienti con mieloma multiplo (MM) R/R. Diversi studi di fase 1-2 mostrano risultati preliminari promettenti in pazienti in progressione dopo inibitori del proteasoma (PI), farmaci immunomodulatori (IMiD) e anticorpi monoclonali (mAb) anti-CD38. Diversi antigeni sono stati proposti come target, ad esempio il CD19 (Garfall AL et al, 2015), l’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA) (Carpenter RO et al, 2013), il CD38 (Drent E et al, 2016), il CD138 (Jiang H et al, 2014) e l’IgG-kappa (Ramos CA et al, 2016). Nel 2019, è iniziato l’arruolamento in studi di fase 3. Al momento, tale terapia rimane sperimentale, ma se approvata per pazienti con MM R/R questa strategia probabilmente diventerà una delle indicazioni più rilevanti, almeno come numero di pazienti che potrebbero potenzialmente beneficiarne (Moreau P et al, 2019).

La maggior parte degli studi clinici ora in corso è basato sull’utilizzo di cellule CAR-T con specificità verso l’antigene BCMA, target ideale data la sua espressione intensa e omogenea sulle cellule di mieloma (Cohen AD et al, 2018). Il primo studio clinico che ha usato CAR-T anti-BCMA in pazienti affetti da MM R/R linfociti è stato eseguito presso il National Cancer Institute (Ali SA et al, 2016) ed è stata la prima dimostrazione di risposte indotte da una terapia con cellule CAR-T non mirate al CD19. Questo studio ha arruolato 12 pazienti pesantemente pretrattati con una mediana di 7 precedenti linee di terapia. Nessuna risposta è stata osservata a basse dosi (1 × 106 /kg o inferiore), ma a dosi più elevate 2 su 6 pazienti hanno ottenuto una very good partial response (VGPR) e 1 paziente una RC. Sono quindi stati arruolati 16 pazienti aggiuntivi (con una mediana di 9 precedenti linee di terapia) trattati alla dose più alta, 9×106 cellule CAR-T/kg, con un ORR dell’81%: 2 pazienti sono andati in stringent RC (12%) e 8 hanno avuto una VGPR (50%).

In uno studio condotto dalla Bluebird Bio è stata utilizzato un costrutto CAR utilizzando lo stesso ScFv dello studio NCI, con un dominio costimolantorio 4-1BB. I risultati dei primi 21 pazienti trattati mostrano un tasso di risposta globale del 94%, con 10 su 18 pazienti in RC e 9 su 10 MRD- (Raje NS et al, 2018).

In uno studio cinese è stato valutato un costrutto CAR specifico per due epitopi del BCMA capace di legarsi con maggiore affinità al target. Sono stati arruolati e trattati 57 pazienti con una mediana di 3 precedenti terapie. L’ORR è stata del 88%, con 39 pazienti in RC (68%); di questi, 36 erano MRD- (Zhao WH et al, 2018).

Il gruppo della UPenn è stato il primo ad effettuare uno studio con cellule CAR-T anti-BCMA umanizzate. Venticinque pazienti pesantemente pretrattati hanno ricevuto cellule CAR-T anti-BCMA associate o meno a pretrattamento con ciclofosfamide. Le tossicità sono state importanti, con 22 pazienti che hanno sviluppato una CRS, in 8 casi di G3. Una ICANS è stata osservata in 8 pazienti (32%) ed è stata grave in 3 (Cohen AD et al, 2019).

Al congresso 2020 della European Hematology Association (EHA) sono stati presentati i risultati preliminari dello studio di fase II KarMMa che utilizza l’idecabtagene vicleucel (ide-cel), CAR-T anti-BCMA, in pazienti con MM R/R in progressione dopo almeno 3 linee di trattamento con IMiD, PI e mAb anti-CD38 (San Miguel J et al, 2020). Delle 140 persone arruolate nel KarMMa, 128 hanno ricevuto l’infusione di ide-cel. L’età mediana è stata di 61 anni ed il numero mediano di linee di trattamento precedente è stato di 6 (range: 3-16). Lo studio prevedeva l’infusione di dosaggi crescenti di ide-cel (I livello: 150 x 106, II livello: 300 x 106 e III livello: 400 x 106) infusi rispettivamente a 4, 70 e 54 pazienti. La ORR globale, a tutti i livelli di dose, è stata del 73%; nei pazienti che avevano ricevuto la dose più elevata, la ORR è risultata dell’81%. Globalmente, il tasso di RC/RC stringente è stato del 31% (I livello: 25%, II livello: 29% e III livello: 35%). Ad un follow-up mediano di 10,2 mesi, la PFS mediana è stata di 8,6 mesi (IC 95%: 5,6-11,3) per la popolazione complessiva e di 11,3 mesi (IC 95%: 8,8-12,4) per i 54 pazienti che avevano ricevuto il dosaggio di ide-cel più elevato. Per quanto riguarda il profilo di sicurezza, l’84% dei pazienti ha avuto una CRS, nella maggior parte dei casi di grado 1-2, ed il 18% ha avuto un quadro di neurotossicità (in 4 casi di grado 3). Da notare che il 69% dei pazienti è andato incontro a complicanze di tipo infettivo.

Nonostante i promettenti tassi di risposta globale, la maggior parte dei pazienti con MM trattati con CAR-T anti-BCMA va incontro a recidiva, probabilmente a causa di una sottopopolazione di plasmacellule mielomatose con bassi livelli di BCMA sulla superficie. Un altro motivo è da ricercare anche nell’azione del complesso ubiquitario γ-secretasi che separa il BCMA dalla superficie delle cellule tumorali, riducendo la densità del ligando sulle cellule tumorali e rilasciando un frammento solubile BCMA (sBCMA) in grado di legarsi al recettore CAR e di inibire la funzione delle cellule CAR-T sulle cellule mielomatose. Il sBCMA può accumularsi nel midollo osseo dei pazienti con MM e potenzialmente saturare i recettori delle cellule CAR-T, limitandone l’efficacia. Pertanto nuovi protocolli sono in corso per valutare l’associazione delle cellule CAR-T anti-BCMA e degli inibitori della γ-secretasi (GSI), che potrebbero aumentare l’efficacia della terapia. Studi in vitro (Pont MJ et al, 2019) hanno documentato come l’esposizione di linee cellulari di mieloma al GSI sia in grado di aumentare notevolmente i livelli di BCMA superficiale in modo dose-dipendente, e contemporaneamente di ridurre le concentrazioni di sBCMA, migliorando il riconoscimento del tumore da parte delle cellule CAR-T. Attualmente sono in corso studi per valutare l’efficacia di questa associazione nell’uomo.

Oltre al BCMA altri target sono in corso di studio. La promettente attività di daratumumab (anticorpo anti-CD38) nel MM ha portato alla valutazione di costrutti CAR con specificità per il CD38. Nei test pre-clinici, linfociti CAR-T anti-CD38 hanno mostrato efficacia contro linee di mieloma derivate da pazienti (Mihara K et al, 2012). Nonostante la premessa, il CD38 potrebbe essere un bersaglio tutt’altro che ideale dato che la sua espressione sulle plasmacellule mielomatose tende a diminuire e si perde nelle forme più aggressive (Tembhare P et al, 2012).

 

Leucemia linfatica cronica (LLC)

 

La LLC è stata una delle prime patologie in cui sono state utilizzate le cellule CAR-T (Porter DL et al, 2011), ma le esperienze circa l’utilizzo e l’efficacia di questo trattamento sono attualmente meno estese rispetto a quelle che si hanno nelle LAL-B o nei DLBCL, e sembrano confermare un tasso di remissioni complete inferiori rispetto alle altre due patologie (Kochenderfer JN et al, 2010; Porter DL et al, 2011; Kalos M et al, 2011).

Sebbene la maggior parte dei pazienti con LLC abbia un decorso indolente, alcuni subset di pazienti hanno una prognosi sfavorevole, in particolare quelli con specifiche anomalie citogenetico-molecolari (del17p/mutazioni di TP53) o una conformazione non-mutata della porzione variabile della catena pesante delle immunoglobuline (Gribben JG, 2010). Negli ultimi anni è stato osservato un miglioramento significativo della sopravvivenza con l’uso di inibitori del pathway del BCR (Brown JR et al, 2018) e con gli inibitori di Bcl-2 (Seymour JF et al, 2018). Le cellule di LLC sono in grado di indurre una significativa immunosoppressione delle cellule T che porta a infezioni ricorrenti, anergia delle cellule T e scarsa proliferazione ex vivo (Ritches JC et al, 2013), rendendo più difficile la manifattura delle cellule CAR-T.

I risultati iniziali del MSKCC su 8 pazienti con LLC trattati con cellule CAR-T anti-CD19 con dominio costimolatorio CD28 hanno mostrato una scarsa risposta nella maggior parte dei pazienti, con 2 pazienti che presentavano malattia stabile alla rivalutazione post-infusione e 1 con una RP con riduzione delle linfoadenopatie (Brentjens RJ et al, 2011). Questo studio è stato il primo a descrivere la CRS dopo un programma di linfodeplezione (Brentjens RJ et al, 2010).

Porter DL et al (2015) hanno riportato uno studio su 14 pazienti con LLC pluritrattati a cui sono state somministrate cellule CAR-T anti-CD19 con dominio costimolatorio 4-1BB. In questo studio è stata registrata una risposta globale del 57% (8 su 14) e 4/8 pazienti hanno ottenuto una RC durevole di oltre 2 anni. Le risposte cliniche significative sono state correlate ad una valida espansione delle cellule CAR-T in vivo e ad una aplasia prolungata delle cellule B. Dati più maturi di questo studio, su un totale di 41 pazienti, hanno mostrato una riduzione della ORR al 39% (Fraietta JA et al, 2018). Dato il numero ridotto di risposte, sono state analizzate le cellule T presenti nel prodotto aferetico e le cellule CAR T del prodotto ingegnerizzato ed è stato dimostrato che i pazienti che rispondevano presentavano una più alta percentuale di cellule T CD8+CD45RO-CD27+ nella leucoaferesi ed una espansione ex vivo maggiore durante il processo di produzione delle CAR-T. Nel prodotto ingegnerizzato è stato visto, mediante studi di gene expression profiling, come il profilo di espressione genica delle cellule CAR-T dei pazienti che avevano raggiunto una RC o RP fosse significativamente diverso da quello dei non-responders, in particolare, i primi, esprimevano geni coinvolti nella differenziazione in cellule della memoria precoci (early memory T cells), gli ultimi, geni coinvolti nella differenziazione in cellule T della memoria tardive (late memory T cells),  in cellule T effettrici e geni coinvolti nell’apoptosi. Inoltre, nei pazienti rispondenti era presente una percentuale aumentata di cellule CAR-T CD27+/PD1-/CD8+, mentre nei pazienti non-rispondenti il PD1 era frequentemente espresso insieme ai recettori inibitori TIM3 e LAG3 (Fraietta JA et al, 2018). Ciò potrebbe consentire una possibile previsione della risposta basata sullo studio del prodotto della leucoaferesi e del prodotto ingegnerizzato. Sulla base di questi studi sarà, forse, possibile in futuro operare una selezione sulle migliori popolazioni di linfociti da espandere o migliorare la qualità dell’aferesi con la somministrazione di farmaci immunomodulatori (come ibrutinib) nei casi in cui sia prevedibile una raccolta di scarsa qualità.

Ibrutinib è un inibitore della tirosin-chinasi di Bruton (BTK) attualmente approvato per la LLC e molti dei pazienti candidati a protocolli clinici con cellule CAR-T spesso hanno avuto un fallimento terapeutico con ibrutinib, oppure mostrano una malattia persistentemente stabile durante tale trattamento. Sorprendentemente, ibrutinib ha dimostrato di non arrecare danno alle cellule CAR-T ma, anzi, di migliorarne la funzionalità in vitro (Fraietta JA et al, 2016; Ruella M et al, 2016a). In una esperienza del Fred Hutchinson Cancer Research Center 24 pazienti con LLC che avevano precedentemente assunto ibrutinib sono stati trattati con cellule CAR T anti-CD19 con dominio costimolatorio di 4-1BB. Il tasso di risposta complessivo è stato del 71%, con 4 pazienti che hanno raggiunto una RC (17%) (Turtle CJ et al, 2017).

Un trial simile è stato condotto dal gruppo della UPenn. In questo studio, 20 pazienti con malattia stabile da almeno 6 mesi durante trattamento con ibrutinib sono stati sottoposti ad infusione di cellule CAR-T anti-CD19 con dominio costimolatorio 4-1BB. In un report iniziale, 10 su 14 pazienti valutabili avevano risposto, con 6 pazienti su 10 in RC (Gill SI et al, 2018).

Sulla base di questi risultati, è attualmente in corso un trial al Fred Hutchinson Cancer Research Center che prevede l’associazione di ibrutinib e CAR-T anti-CD19. I risultati preliminari di questo studio (Gauthier J et al, 2018) hanno evidenziato una ORR dell’83% rispetto al 65% per i pazienti che hanno interrotto ibrutinib prima di iniziare il trattamento con CAR T. Inoltre, nei pazienti in cui è stata associate la terapia con ibrutinib e cellule CAR T si è evidenziato una percentuale più bassa di CRS gravi.

Nuove CAR T con specificità diverse sono attualmente in studio, tra questi ROR1 sembra un antigene promettente. ROR1 è altamente espresso sulle cellule di LLC, ma non sulle normali cellule B, il che rende ROR1 un antigene tumore-specifico ideale per l’immunoterapia (Berger C et al, 2015). Dati pre-clinici hanno dimostrato che le cellule CAR-T sono in grado di riconoscere con precisione le cellule tumorali e linee cellulari autologhe che esprimono ROR1. Tuttavia, le CAR-T anti-ROR1 potrebbero determinare effetti tossici on target/off tumor a causa dell’espressione di ROR1 su altri tessuti normali, come paratiroidi, cellule pancreatiche e tratto gastrointestinale.

 

Linfomi non-Hodgkin indolenti e mantellari

 

CAR-T anti-CD19 sono state utilizzate anche in altri tipi di linfoma non-Hodgkin a carattere indolente e nei linfomi mantellari; diversi trial clinici sono in corso.

Sono stati recentemente pubblicati sul New England Journal of Medicine (Wang M et al, 2020) i risultati dello studio multicentrico di fase II ZUMA-2 che utilizza KTE-X19, un prodotto CAR-T anti-CD19, in pazienti con linfoma mantellare R/R dopo terapia con inibitore di BTK. Nello studio sono stati arruolati 74 pazienti; KTE-X19 è stato prodotto per 71 pazienti e somministrato a 68. L’analisi di efficacia ha mostrato che il 93% dei 60 pazienti previsti per l’analisi primaria otteneva una risposta obiettiva ed il 67% una RC. Nell’analisi intention-to-treat che ha coinvolto tutti i 74 pazienti, l’85% ha avuto una risposta obiettiva ed il 59% una RC. A 12 mesi, la PFS e l’OS erano rispettivamente del 61% e dell’83%, risultati notevoli data la prognosi estremamente infausta di questi pazienti.

Inoltre, durante l’ASCO e l’EHA del 2020 sono stati presentati sotto forma di abstract i risultati dell’analisi ad interim dello studio ZUMA-5, studio multicentrico di fase 2 su axi-cel in pazienti con linfoma non-Hodgkin indolente R/R che hanno eseguito almeno 2 linee di trattamento (Jacobson CA et al, 2020). Novantaquattro pazienti (80 con linfoma follicolare; 14 con linfoma marginale) hanno ricevuto axi-cel con un follow-up mediano di 11,5 mesi (range: 4,2-24,9). L’età mediana era di 63 anni (range: 34-79); Il 52% dei pazienti aveva una malattia in stadio IV ed il 59% presentava una elevata massa tumorale. I pazienti avevano ricevuto una mediana di 3 precedenti linee di terapia ed il 73% era refrattario all’ultimo trattamento eseguito. Per l’analisi di efficacia, 87 pazienti sono risultati valutabili; la ORR è stata del 94%, con un tasso di RC del 79%. I pazienti con linfoma follicolare (n=80) hanno mostrato una ORR del 95% (con un tasso di RC dell’80%). Complessivamente, il 68% dei pazienti ha mantenuto la RC al data cut-off.

 

MECCANISMI DI RESISTENZA

 

I fattori che possono precludere remissioni durature a seguito della terapia con CAR T sono diversi: problemi di manifattura, una limitata espansione e/o persistenza delle cellule CAR-T o meccanismi che portano a fenomeni di resistenza (Shah NN et al, 2019).

Come detto, il processo di costruzione delle CAR-T inizia mediante una leucoaferesi di cellule mononucleate del paziente. Nel prodotto di aferesi, oltre ai linfociti sono presenti però anche altre componenti cellulari che possono influenzare la produzione delle CAR-T: ad esempio le cellule leucemiche circolanti o le cellule della linea monocitaria che possono inibire l’espansione delle cellule T (Stroncek DF et al, 2016). È stato pubblicato un report in cui veniva evidenziata una incidentale trasduzione del gene CAR in un blasto leucemico B, che avrebbe poi conferito la resistenza al prodotto cellulare (Ruella M et al, 2018). Diversi gruppi stanno attualmente vagliando varie strategie per migliorare la qualità del prodotto di aferesi, generalmente attraverso un processo di selezione ed arricchimento dei linfociti T (Stroncek DF et al, 2016; Fesnak A et al, 2016).

Una ricaduta di malattia entro 12 mesi dall’infusione di cellule CAR T anti-CD19 o anti-CD22 può verificarsi in una percentuale variabile di pazienti fino ad arrivare ad un 50% nei pazienti con LAL (Gardner RA et al, 2017; Park JH et al, 2018; Maude SL et al, 2018; Fry TJ et al, 2018). Sono stati registrati sia casi di recidive CD19-positive che recidive CD19-negative. Una maggiore comprensione dei meccanismi alla base della scarsa persistenza e/o resistenza alle cellule CAR-T e l’identificazione dei pazienti con la più alta probabilità di recidiva è cruciale per ottimizzare la terapia.

Gli eventi di recidiva sono stati studiati soprattutto nelle LAL e le recidive possono essere suddivise in precoci e tardive. Le recidive precoci si verificano in genere dopo pochi mesi dall’ottenimento della remissione, sono caratterizzate dalla persistenza dell’antigene CD19 sul blasto leucemico, da una persistenza limitata dei linfociti CAR-T e da una transitoria aplasia delle cellule B, a suggerire una perdita della sorveglianza mediata da linfociti CAR-T attivi contro le cellule leucemiche (Maude SL et al, 2014). Le cause della persistenza più o meno prolungata delle cellule CAR-T in vivo dopo l’infusione non sono ancora del tutto conosciute, ma un ruolo importante sembra legato al fenotipo iniziale dei linfociti T – in particolare il rapporto tra linfociti T CD4 + e linfociti T CD8 + infusi (Maude SL et al, 2014) – ed al dominio costimolatorio incorporato nel recettore CAR (Fesnak A et al, 2016).  I recettori CAR contenenti il dominio cotimolatorio CD28 tendono ad avere una persistenza inferiore rispetto a quelli che contengono il dominio 4-1BB (durata mediana della persistenza 30 giorni vs 168 giorni) (Davila ML et al, 2014; Maude SL et al, 2018). La migliore persistenza delle cellule CAR T con dominio 4-1BB potrebbe derivare, in parte, dalla ridotta propensione all’anergia del linfocita T indotta dalla stimolazione costante CAR-mediata (Long AH et al, 2015).

La persistenza delle cellule CAR-T anti-CD19 ha un ruolo rilevante nella sorveglianza anti-leucemia e sembra essere importante per una remissione duratura nei pazienti con LAL. Non è tuttavia chiaro se la persistenza dei linfociti CAR-T sia effettivamente necessaria per mantenere una remissione duratura. Park e colleghi (Park JH et al, 2018) hanno riportato i dati di follow-up a lungo termine in pazienti con LAL trattate con linfociti CAR-T anti-CD19 con CD28 come recettore costimolatorio: in questo studio, la persistenza delle cellule CAR-T dopo l’ottenimento della remissione è stata rilevata raramente, tuttavia l’EFS mediana è stata di 6,1 mesi globalmente e di 10,6 mesi nei pazienti con una bassa quota di malattia. Si possono pertanto ottenere remissioni durature nonostante la ridotta persistenza in vivo di cellule CAR-T.

Nelle recidive CD19-positive, è stato possibile effettuare in protocolli sperimentali una seconda infusione di linfociti CAR-T, anche se dai primi dati sembra che tale approccio abbia avuto un successo limitato. In una esperienza di Gardner et al (Gardner RA et al, 2017), 10 pazienti andati incontro a recidiva di LAL CD19+ sono stati sottoposti ad una reinfusione di linfociti CAR-T anti-CD19. Otto di questi pazienti non presentavano più CAR-T circolanti; solo in 2 casi alla reinfusione si è assistito ad una seconda espansione ed un solo paziente è andato in remissione di malattia. I 2 pazienti restanti che presentavano cellule CAR-T rilevabili sono stati sottoposti a reinfusione per persistenza della LAL CD19+, ma in nessuno dei 2 casi si è assistito ad una riespansione di cellule CAR-T, ad una nuova aplasia delle cellule B o ad un effetto anti-leucemico. Lee et al (Lee DW et al, 2015) hanno descritto 3 pazienti che hanno ricevuto una seconda infusione di cellule CAR-T per una LAL CD19+ in recidiva post-terapia cellulare e nessuno ha avuto una risposta obiettiva. In uno studio di Turtle et al (Turtle CJ et al, 2016) sono stati riportati 5 pazienti con LAL CD19+ che hanno ricevuto una reinfusione; in nessun paziente è stata registrata una riespansione delle cellule CAR-T o una attività anti-leucemica.

Al fine di aumentare la persistenza dei linfociti CAR-T sono in corso studi clinici (NCT02374333) con costrutti CAR anti-CD19 umanizzati per superare il rigetto immuno-mediato dei recettori CAR di origine murina (Maude SL et al, 2016).

Per quanto riguarda le recidive tardive, queste sono più frequentemente caratterizzate dalla perdita o down-modulazione dell’antigene target associata spesso alla persistenza in circolo delle cellule CAR-T. Le recidive con perdita dell’antigene target sono state descritte anche in seguito ad altri approcci immunoterapici mirati, ad esempio dopo trattamento con blinatumomab, anticorpo bispecifico anti-CD19/anti-CD3 (Mejstrikova E et al, 2017) o altri anticorpi monoclonali (Bhojwani D et al, 2018). Meccanismi che portano alla perdita dell’espressione del CD19 includono lo splicing alternativo, che genera isoforme CD19 con perdita dell’epitopo bersaglio, la ridotta espressione della superficie cellulare (Fisher J et al, 2017) e l’interruzione nel trasporto di CD19 sulla superficie cellulare (Braig F et al, 2017); altri percorsi che portano alla perdita dell’antigene sono attualmente in studio. La perdita completa dell’antigene potrebbe però non essere necessaria per lo sviluppo di resistenza alla terapia; infatti, anche una riduzione dell’espressione dell’antigene potrebbe essere sufficiente. In pazienti trattati con cellule CAR-T anti-CD22, una semplice diminuzione quantitativa dell’espressione del CD22 sulla superficie cellulare o della densità dell’antigene sulla popolazione leucemica è stata sufficiente ad eludere la sorveglianza da parte dei linfociti CAR-T, determinando una progressione di malattia (Fry TJ et al, 2018).

La perdita di antigene è stata meglio descritta nei pazienti con LAL, ma certamente non si limita a questa patologia. Anche nei tumori solidi e nel glioblastoma (O’Rurke DM et al, 2017) si sono verificati fenomeni di modulazione dell’antigene target in seguito alla terapia con cellule CAR-T.

L’utilizzo nelle precedenti linee di terapia di approcci immunoterapici target-specifici potrebbe aumentare ulteriormente la complessità del fenomeno di escape antigenico in corso di terapia con linfociti CAR-T. Ad esempio, sia con l’anticorpo bispecicifico blinatumomab anti-CD19 che con inotuzumab ozogamicin (anticorpo farmaco-coniugato anti-CD22) – entrambi approvati da FDA ed EMA per il trattamento delle LAL B recidivate/refrattarie – sono state registrate perdite di risposta con comparsa di cloni resistenti CD19- o CD22-. Pertanto, tali agenti potrebbero rendere una eventuale terapia futura con cellule CAR-T contro i medesimi antigeni meno efficace o ridurre la durata delle risposte aumentando il rischio di recidiva antigene-negativa.

Un altro meccanismo di resistenza per eludere le cellule CAR-T è il lineage switch. Questo fenomeno è stato descritto prima dell’era delle terapie target, nel contesto dei sottotipi di leucemia con riarrangiamento del gene KMT2A (precedentemente MLL), che spesso si presentano come leucemie a fenotipo misto, ovvero i pazienti trattati con schemi da LAL che recidivano come leucemie acute mieloidi (Mitterbauer-Hohendanner G et al, 2004). Sia in ambito pre-clinico che clinico, un fenomeno analogo con comparsa di fenotipo mieloide in seguito a terapia con linfociti CAR-T anti-CD19 è stato descritto in pazienti con LAL (in associazione o meno al riarrangiamento di KMT2A) (Gardner R et al, 2016).

La maggior parte dei meccanismi di resistenza alle cellule CAR-T sono stati studiati in pazienti con LAL R/R. Nei LNH a cellule B si ha una comprensione più limitata dei meccanismi di ricaduta. La perdita di antigene può essere un meccanismo di recidiva in seguito a terapia con CAR-T (Yu H et al, 2017; Shalabi H et al, 2018a), ma sembra verificarsi meno frequentemente rispetto ai pazienti con LAL. Segnalazioni sulla frequenza di recidive con perdita dell’antigene nei DLBCL sono, infatti, limitate. Inoltre, la persistenza delle cellule CAR-T potrebbe non essere necessaria per una risposta duratura nei pazienti con linfoma contrariamente a quanto sembra avvenire in pazienti con LAL. Infatti, come riportato da Kochenderfer e colleghi (2017), nonostante la maggior parte dei pazienti non presentasse più cellule CAR-T circolati dopo 6 mesi dall’infusione e nonostante il recupero dell’aplasia delle cellule B, 4/5 pazienti in RC permanevano in tale stato, rispettivamente, a 56, 51, 44 e 38 mesi dall’infusione.

Terapie di consolidamento: trapianto allogenico di cellule staminali?

 

Numerosi studi hanno cercato di valutare il ruolo di una terapia di consolidamento con un allo-TMO nei pazienti che ottenevano una remissione in seguito al trattamento con cellule CAR-T. Le prime esperienze cliniche che dimostravano l’efficacia del trattamento con CAR T sono state in pazienti con neoplasie ematologiche, in particolare le LAL, per le quali l’allo-TMO è un’opzione terapeutica validata e consolidata. Nei report di Davila et al (Davila ML et al, 2014), Lee et al (Lee DW et al, 2015) e Shalabi, Delbrook et al (Shalabi H, Delbrook C et al, 2018) un’alta percentuale di pazienti affetti da LAL, in remissione dopo trattamento con cellule CAR-T anti-CD19 basate sul dominio costimolatorio CD28, sono stati sottoposti ad allo-TMO, con risultati complessivamente migliori rispetto a chi non aveva eseguito tale procedura. Diversi studi hanno dimostrato che il vantaggio maggiore in termini di sopravvivenza libera da malattia nell’utilizzo dell’allo-TMO come consolidamento alla terapia con CAR-T si avrebbe soprattutto per i pazienti naive a tale procedura (Shalabi H, Delbrook C et al, 2018; Summers C et al, 2018). In particolare, nel lavoro di Summers et al (2018) è stata riportata una tendenza al miglioramento della sopravvivenza libera da malattia in pazienti trattati con CAR-T/4-1BB anti-CD19 che venivano in seguito sottoposti ad allo-TMO, rispetto a chi non lo eseguiva. Infatti, dei 50 pazienti valutabili, 33 avevano già eseguito in precedenza un allo-TMO mentre 17 erano naive alla procedura: di questi ultimi, 3/17 hanno scelto di non procedere con il trapianto e in 2 casi si è registrata una ricaduta della malattia, mentre 14/17 pazienti hanno eseguito il trapianto, e tra questi sono state registrate solo 2 recidive. Diversamente, nel lavoro di Park et al. (Park JH et al, 2018), ad un follow-up mediano di 29 mesi, non è stata registrata una differenza significativa in termini di EFS e OS tra i pazienti con LAL che, dopo aver ottenuta una remissione molecolare con linfociti CAR-T/CD28 anti-CD19, venivano sottoposti ad allo-TMO o meno (P= 0,64 e P= 0,98, rispettivamente).

Pertanto, il ruolo del consolidamento con allo-TMO deve essere meglio definito, ma dai dati riportati sembra avere un ruolo più rilevante nelle LAL, in seguito a trattamento con cellule CAR-T con ridotta persistenza in vivo. Al contrario, nei LNH l’allo-TMO non sembra fornire alcun beneficio aggiuntivo.

 

Nuove prospettive

 

Nuove prospettive per aumentare l’efficacia e ridurre gli eventi avversi sono attualmente in corso di studio. Data la possibilità di recidive con perdita/modulazione dell’antigene target come meccanismo di evasione e resistenza, sono stati sviluppati costrutti CAR con un target multi-antigene al fine di ridurre il rischio di escape antigenico. I dati pre-clinici a supporto degli approcci multi-target comprendono l’uso di costrutti CAR tandem anti-CD19/anti-CD20 (Shneider D et al, 2017), strategie combinatorie anti-CD19/anti-CD123 (Ruella M et al, 2016) e anti-CD19/anti-CD22 (Qin H et al, 2018). Queste strategie di double targeting sono possibili sia utilizzando un singolo costrutto CAR con specificità per due antigeni oppure due recettori CAR specifici per ciascun antigene espressi sulla stessa cellula. Diversi studi clinici sono in corso per valutarne l’efficacia e la sicurezza.

Oltre alle CAR T autologhe, diversi gruppi stanno studiando in protocolli clinici CAR T di origine allogenica sia sul fronte delle recidive post-allo-TMO che in quello della produzione di CAR-T “off-the-shelf” da donatori sani. Infatti, i pazienti con malattie linfoproliferative a cellule B in recidiva dopo allo-TMO hanno opzioni di trattamento estremamente limitate e sono spesso trattati con infusione di linfociti allogenici (DLI) non manipolati del donatore di cellule staminali ematopoietiche nel tentativo di stimolare una graft-versus-leukemia/lymphoma (Roddie C et al, 2011). I DLI hanno un’efficacia variabile e, come effetti collaterali, possono innescare/amplificare la graft-versus-host disease (GVHD) in seguito all’attivazione di una risposta immunitaria dei DLI contro i tessuti del ricevente. Pertanto, la trasduzione delle cellule T allogeniche ad esprimere un recettore CAR anti-CD19 potrebbe fornire un vantaggio rispetto ai DLI standard, mirando specificamente la risposta immunitaria verso le cellule patologiche. È stato dimostrato che la somministrazione di cellule CAR-T anti-CD19 allogeniche è possibile. Studi sono ancora in corso al fine di determinarne l’efficacia clinica (Kochenderfer JN et al, 2013; Brudno JN et al, 2016b). In uno studio (Brudno JN et al, 2016b) 20 pazienti con vari tumori maligni a cellule B, inclusi LAL, LLC, DLBCL e MCL, in recidiva post-allo-TMO, sono stati trattati con cellule CAR-T anti-CD19 allogeniche e risposte sono state osservate in tutti i sottogruppi di malattia. È importante sottolineare che nessun paziente ha sviluppato una GVHD acuta ed in un solo caso c’è stata una riacutizzazione di una GVHD cronica.

Per quanto riguarda la creazione di CAR-T da donatori sani, questa procedura presenta molti potenziali vantaggi rispetto all’approccio autologo: la disponibilità immediata di lotti criopreservati per il trattamento dei pazienti che non dovranno più attendere il processo di manifattura, la possibilità di standardizzazione del prodotto cellulare CAR-T e la riduzione dei costi mediante produzione in serie. Tuttavia, le cellule CAR-T allogeniche possono presentare dei problemi: potrebbero essere in grado di indurre una GVHD invalidante o potenzialmente letale e sono inoltre più immunogeniche dei prodotti autologhi e possono pertanto essere rapidamente eliminate dal sistema immunitario dell’ospite. Sono state sviluppate diverse tecniche per ridurre la capacità delle cellule CAR-T allogeniche di determinare GVHD; tra queste, la più comune è quella del gene editing mediante il quale viene reso impossibile al linfocita l’espressione del TCR α/β, che riveste un ruolo cruciale nella genesi della GVHD (Torikai H et al, 2015). Per aumentare la persistenza ed evitare l’alloimmunizzazione del ricevente, spesso le cellule CAR-T allogeniche vengono deprivate del CD52 – molecola espressa dai linfociti T – in maniera tale da poter utilizzare l’alemtuzumab (anticorpo anti-CD52) per ridurre drasticamente le cellule T dell’ospite aumentando la possibilità di attecchimento ed espansione delle CAR-T allogeniche (Poirot L et al, 2015). Numerosi studi sono attualmente in corso in diverse neoplasie ematologiche per valutare l’efficacia e la sicurezza delle CAR-T allogeniche (Tabella V).

 

Tabella V: Studi clinici in corso per le CAR-T allogeniche nelle varie neoplasie ematologiche.

 

Al fine di aumentare la persistenza dei linfociti CAR-T, sono in studio costrutti CAR con regioni ScFv umanizzate o completamente umane (HuCAR-19) che sembrano avere livelli immunogenici ridotti. Ciò potrebbe ridurre la probabilità di una risposta immunitaria anti-CAR-T da parte del sistema immunitario dell’ospite, consentendo una migliore espansione e persistenza delle cellule CAR-T. I risultati preliminari di uno studio sulle HuCAR-19 ha evidenziato una ORR dell’86% in pazienti con LNH in stadio avanzato (Sommermeyer D et al, 2017).

Alcuni approcci di ingegneria genetica intesi a migliorare le prestazioni delle cellule CAR-T sembrano molto promettenti. Ad esempio, è stato riportato che l’editing del genoma mediante il sistema CRISPR/Cas9 permette l’integrazione del gene CAR nel locus della regione costante della catena α del TCR (TRAC) (Eyquem J et al, 2017). Questa modifica sembra permettere livelli uniformi di espressione del CAR sulla superficie della cellula T, impedendo la stimolazione tonica del CAR e riducendo l’incidenza del fenomeno dell’exhaustion delle cellule T. Questa cellula CAR-T sembra avere in modelli murini un’attività anti-leucemica superiore, rispetto a quello delle cellule CAR-T generate in modo convenzionale (Eyquem J et al, 2017).

Inoltre, l’attività delle cellule CAR-T potrebbe essere potenzialmente aumentata dalla somministrazione di altri agenti farmaceutici. Ad esempio, ibrutinib – come già descritto – si è dimostrato capace di aumentare l’efficacia anti-tumorale delle cellule CAR-T. Inoltre, l’utilizzo di inibitori di PD-1 sembra promettente; l’inibizione del checkpoint immunitario PD-1/PD-L1, mediante l’uso di anticorpi anti-PD-1 o anti-PD-L1, sembra infatti in grado di ripristinare la funzione effettrice delle cellule CAR-T in modelli in vitro, riattivando i linfociti “esausti” (Hill BT et al, 2017). È stato presentato recentemente uno studio su atezolizumab (inibitore anti PD-L1) con axi-cel (ZUMA-6) che ha incluso 12 pazienti con DLBCL. Tale associazione ha mostrato una attività clinica promettente con una ORR del 92% e un tasso di RC del 58% (Jackobson CA et al, 2018). Da notare che nella prima fase dello studio c’è stata una più elevata percentuale di neurotossicità di grado 3 (50%) rispetto a quella riportata nello ZUMA-1. Altri studi con altri inibitori del checkpoint (i.e. pembrolizumab e durvalumab) sono in corso.

Al fine di renderle più gestibili e di migliorarne il profilo di tossicità sono attualmente in studio cellule CAR-T con integrato un gene “suicida” (come ad esempio la caspasi-9 inducibile). L’attivazione dell’espressione di tali geni determinerebbe la selettiva apoptosi delle cellule CAR-T. Questi geni possono essere attivati mediante la somministrazione di specifiche molecole in caso di tossicità acuta potenzialmente fatale o per invertire l’aplasia a cellule B prolungata causata da una eventuale persistenza a lungo termine dei linfociti CAR-T (Minigawa K et al, 2016).

Altri studi sono in corso per aumentare la funzionalità delle CAR-T. Le cellule CAR-T possono essere progettate per co-esprimere altre molecole, come citochine e altre molecole costimolatorie, in grado di stimolare in maniera autocrina queste CAR-T “corazzate” (armored), ma anche di stimolare altre cellule immunitarie all’interno del microambiente tumorale (come macrofagi, cellule dendritiche, cellule NK e linfociti infiltranti il ​​tumore) stimolandone l’attività e la persistenza (Pegram HJ et al, 2012).

 

Nuove frontiere: tumori solidi

 

Andando oltre i tumori ematologici, i tumori solidi rappresentano una nuova sfida per le cellule CAR-T. Problemi chiave nei tumori solidi sono l’eterogeneità intrinseca delle cellule tumorali che non permette sempre l’identificazione di antigeni target ottimali, la densità di espressione di tali antigeni e la difficile penetrazione delle cellule nel tumore, con conseguente limitazione del potenziale terapeutico delle cellule CAR-T. L’uso di costrutti CAR che riconoscono più antigeni contemporaneamente e la somministrazione locale intra-tumorale sono state utilizzate per superare tali ostacoli. Attualmente sono in corso diversi studi in vari tipi di tumore solido, in particolare nel neuroblastoma, glioblastoma, mesotelioma e tumore ovarico.

 

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A cura di:

Ricercatrice (RTDA), Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione, Università "Sapienza" di Roma

Ematologia, Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione, Università Sapienza, Roma

Professore Emerito di Ematologia, Università Sapienza, Roma

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