Negli ultimi 20 anni, il trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC) è drasticamente cambiato: l’uso degli inibitori tirosin-chinasici (TKI) ha permesso di migliorare la sopravvivenza dei pazienti affetti da questa malattia, attualmente simile a quella della popolazione generale di pari età. Utilizzando la seconda generazione di inibitori, è aumenta la percentuale di pazienti che ottengono in tempi più rapidi risposte molecolari profonde e più stabili, permettendo di sospendere la terapia dopo un certo numero di anni di trattamento e riducendo la percentuale dei pazienti che sviluppano una progressione di malattia.
Malgrado questi risultati, circa il 20% dei pazienti trattati con imatinib e circa il 15% dei pazienti trattati con inibitori di seconda generazione in prima linea, sviluppano resistenza e/o grave intolleranza. La resistenza è legata, nella maggior parte dei casi, allo sviluppo di mutazioni puntiformi del dominio chinasico di Abelson: più di 100 mutazioni sono state riconosciute con diversi livelli di resistenza associata. Il trattamento di seconda linea non permette però di recuperare la totalità dei pazienti resistenti e la gran parte degli inibitori in commercio sono minati da effetti collaterali a lungo termine (in particolare tossicità cardiologica) che ne limitano l’uso.
Vi è pertanto la necessità di individuare inibitori più selettivi ed efficaci: asciminib è il primo esempio di inibitore allosterico in grado di legarsi al sito miristoilico della proteina BCR-ABL e non al sito ATPasico, regione riconosciuta da tutti gli altri inibitori disponibili. E’ stato quindi ideato per essere selettivo e privo di effetti collaterali “off-target”, oltre che per poter essere utilizzato in combinazione con gli altri farmaci. E’ efficace nei pazienti con mutazioni, inclusa la T315I. Il farmaco agisce mimando l’azione di un peptide miristoilico ad azione inibitoria sull’attività di Abl, perso durante la traslocazione t(9;22): l’azione del farmaco permette quindi un’azione inibitoria allosterica sull’attività chinasica di BCR-ABL1.
E’ stato pubblicato da poco sul New England Journal of Medicine (Hughes TP et al, 2019) il lavoro che riporta i risultati di uno studio di fase 1. Il Centro ematologico della Università “Sapienza” è stato l’unico in Italia a partecipare a questo studio. Sono stati arruolati 141 pazienti con LMC in fase cronica e 9 in fase accelerata resistenti e/o intolleranti a due precedenti linee terapeutiche (il 70% trattato con 3 linee terapeutiche). L’obiettivo primario dello studio era definire la massima dose tollerata, ma lo studio ha fornito importanti risultati di efficacia e tollerabilità dopo un follow-up mediano di 14 mesi.
Il 31% dei pazienti aveva una mutazione del dominio ABL al momento dell’arruolamento. Dei 113 pazienti arruolati senza una mutazione T315I al baseline, il 92% ha ottenuto una risposta ematologica completa non presente al baseline mentre il 54% ha ottenuto una risposta citogenetica completa in un tempo mediano di 24 settimane. Il 48% dei pazienti ha ottenuto e/o mantenuto una risposta molecolare maggiore (BCR-ABL1 ratio < 0,1%IS) ad 1 anno ed il 20% una risposta molecolare profonda. In generale il 63% dei pazienti ha ottenuto un miglioramento della risposta molecolare iniziale. Le risposte sono state osservate in tutti i gruppi di pazienti che hanno ricevuto, in accordo al protocollo, asciminib a diversi dosaggi, sia in monodose sia in doppia somministrazione giornaliera. Inoltre, 28 pazienti avevano una mutazione T315I: l’88% ha ottenuto una risposta ematologica completa e il 41% una risposta citogenetica completa in un tempo mediano di 8 settimane. Una risposta molecolare maggiore è stata raggiunta dal 24% dei pazienti in un tempo mediano di 14 settimane ed il 50% dei pazienti ha ottenuto un miglioramento del residuo molecolare presente all’arruolamento. I pazienti che hanno ottenuto una risposta sono stati trattati con un dosaggio di 150 mg due volte al giorno o superiori: questo ha permesso di perfezionare l’arruolamento, tuttora in corso, dei pazienti con mutazione T315I con un unico elevato dosaggio (200 mg BID). Dei 9 pazienti in fase accelerata, l’88% ha ottenuto una risposta ematologica completa e l’11% una risposta molecolare maggiore, mantenuta in un tempo mediano di 11 settimane.
Venti pazienti hanno avuto una progressione di malattia, ma solo 2 hanno sviluppato mutazioni del sito miristoilico; simili mutazioni sono state riscontrate in altri 2 pazienti in fase cronica senza evidenza di progressione in fase avanzata. Sono stati valutati diversi dosaggi, sia in mono somministrazione che duplice giornaliera: in totale sono stati riportati 8 casi di DLT (dose limiting toxicity).
Tra gli effetti collaterali più evidenti è da segnalare l’innalzamento asintomatico e reversibile di lipasi ed amilasi, rash cutaneo, sintomi costituzionali (fatigue, nausea, cefalea, artralgia), prevalentemente di grado 1-2. Non sono stati osservati effetti cardiovascolari maggiori ma è stata riportata l’insorgenza di ipertensione arteriosa nel 19% dei pazienti. Cinque pazienti hanno avuto una pancreatite clinica, ma 3 dei 5 pazienti avevano avuto tale effetto collaterale anche con le terapie precedenti. Il trial è stato associato ad uno studio di farmacocinetica che ha dimostrato, indipendentemente dal dosaggio effettuato, che l’emivita del farmaco è pari a 8 ore, e che con il dosaggio di 40 mg BID si raggiunge più del 90% della concentrazione inibitoria del farmaco. Tale dosaggio (40 mg BID) è stato quindi indicato come effettivo per l’uso del farmaco come agente singolo.
L’assenza di effetti collaterali importanti e la sicurezza cardiovascolare, così come l’azione specifica e selettiva in pazienti fortemente pre-trattati dimostrate in questo lavoro, aprono nuove possibilità terapeutiche per questo farmaco. E’ in corso ancora oggi la parte che riguarda le associazioni tra il farmaco e gli altri inibitori tirosin-chinasici, lo studio dei pazienti con mutazione T315I ad alto dosaggio, uno studio completato che ha confrontato asciminib in terza linea verso bosutinib e uno studio di fase II che utilizza asciminib in pazienti che non hanno ottenuto una risposta ottimale da imatinib per arrivare all’endpoint finale della sospensione.
I risultati di questi studi permetteranno di capire come posizionare il farmaco nella pratica clinica, ma verosimilmente aprirà nuove possibilità terapeutiche per arrivare al nuovo endpoint della sospensione terapeutica a lungo termine.
BIBLIOGRAFIA
Azienda Policlinico Umberto I, Università Sapienza, Roma
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