Aggiornamenti sul mieloma multiplo dal congresso EHA 2023
Protagonisti del congresso annuale dell’European Hematology Association (EHA) tenutosi a Francoforte nel giugno 2023, per ciò che riguarda il trattamento del mieloma multiplo (MM), sono certamente stati gli anticorpi bispecifici e le CAR-T.
CAR-T nel trattamento del MM
Per ciò che riguarda le CAR-T, dopo i risultati favorevoli dello studio CARTITUDE-1, risultati che hanno portato all’approvazione da parte degli enti regolatori di cilta-cel in pazienti con MM recidivato/refrattario (RR) in linea avanzata, Einsele H, et al hanno presentato i risultati dello studio CARTITUDE-4, studio randomizzato di fase 3 che ha testato cilta-cel contro due standard of care alla recidiva in linee precoci, PVd e DPd. 419 pazienti con RRMM (mediana di 2 linee terapeutiche precedenti) sono stati randomizzati a ricevere una singola infusione di cilta-cel oppure PVd/DPd secondo la schedula approvata. Dei pazienti randomizzati al braccio cilta-cel (208), 176 hanno effettivamente ricevuto cilta-cel. Ad un follow-up di 16 mesi, la PFS mediana non era stata raggiunta nel braccio sperimentale mentre è risultata pari a 11,8 mesi nel braccio di controllo, con una riduzione del rischio di progressione o morte del 74% a favore di cilta-cel. Tale vantaggio è risultato consistente in tutti i sottogruppi analizzati, indipendentemente dal numero e dal tipo di precedenti terapie, dalla presenza di citogenetica sfavorevole o stadio avanzato. Considerando soltanto i pazienti che hanno effettivamente ricevuto cilta-cel, i tassi di ORR e CR sono risultati pari al 99% e 86%, rispettivamente, mentre il 90% dei pazienti era libero da malattia a 12 mesi. Per ciò che concerne il profilo di tossicità osservato con cilta-cel nello studio CARTITUDE-1, sia la frequenza che la severità della cytokine release syndrome (CRS), dell’immune effector cell associated neurotoxicity syndrome (ICANS) e della citopenia è risultata mitigata nello studio CARTITUDE-4. Tali risultati, dopo quelli dello studio KarMMa-3 con ide-cel, supportano l’utilizzo in linee precoci delle CAR-T anti-BCMA e introdurranno un nuovo standard of care per pazienti con MM recidivato dopo una sola linea di terapia.
GPRC5D (G protein–coupled receptor family C group 5 member D) si conferma un target favorevole non soltanto per gli anticorpi bispecifici ma anche per le CAR-T. Bal S, et al hanno aggiornato i dati relativi allo studio di fase I che ha testato diverse dosi (da 25 a 450 × 106 CAR T cells) del prodotto CAR-T BMS-986393 in pazienti con RRMM, di cui il 55% aveva già ricevuto un trattamento diretto contro BCMA, incluse le CAR-T cells. La massima dose tollerata (MTD) non è stata raggiunta, mentre sono stati osservati tassi di risposta globale (ORR) tra l’80 e il 100% e tassi di CR fino al 50%. E’ inoltre interessante notare come, a differenza di quanto osservato con gli anticorpi bispecifici anti-GPRC5D, la tossicità cutanea (30%), le alterazioni ungueali (9%) e la disgeusia (15%) siano state meno frequenti e di grado più lieve. Questi dati confermano quindi l’efficacia del trattamento con CAR-T cell dirette contro GPRC5D anche in pazienti precedentemente esposti a terapie anti-BCMA, supportando quindi il sequencing di agenti diretti contro questi due target.
Terapia con anticorpi monoclonali e bispecifici
Sono stati quindi presentati i dati aggiornati degli studi MONUMENTAL-1 e MAGNETISMM-3 circa l’impiego di talquetamab ed elranatamab in pazienti con MM recidivato e refrattario (RR) in linee avanzate di trattamento, nonché studi di combinazione tra anticorpi bispecifici o anticorpi monoclonali.
Mothy M, et al hanno presentato i dati aggiornati dello studio MAGNETISMM-3 sull’impiego di elranatamab, anticorpo bispecifico diretto contro CD3 e BCMA, con un focus in particolare sull’efficacia del farmaco con il passaggio dalla somministrazione settimanale a quella quindicinale. I dati osservati in 123 pazienti arruolati nella coorte A, ossia in pazienti non precedentemente trattati con farmaci anti-BCMA, sono stati analizzati. Elranatamab ha indotto una risposta almeno parziale nel 61% dei pazienti trattati, e il 24% di essi ha raggiunto la MRD negatività (10-5); ad un follow-up mediano di circa 15 mesi, la probabilità della durata della risposta e della PFS erano rispettivamente del 72% e 51%. Gli autori si sono quindi focalizzati su 50 pazienti che, dopo 6 cicli almeno di elranatamab a dosaggio settimanale con ottenimento di almeno una risposta parziale, hanno effettuato il passaggio alla somministrazione ogni 15 giorni: di questi, l’80% ha mantenuto o migliorato la risposta precedentemente ottenuta e nei primi 3 mesi dalla modifica della somministrazione si è osservato un iniziale calo di circa il 10% degli eventi avversi di grado 3-4. Questi dati suggeriscono come una riduzione della frequenza di somministrazione sia possibile e potenzialmente efficace nel ridurre la tossicità del farmaco, anche se sarà necessario un follow-up più lungo per confermare tali dati iniziali.
Dati aggiornati dello studio MONUMENTAL-1 sono stati presentati da Touzeau C, et al. Tale tudio di fase II ha valutato l’efficacia e la sicurezza di talquetamab, anticorpo bispecifico diretto contro l’antigene GPRC5D e somministrato alla dose di 0,4 mg/kg 1 volta alla settimana o 0,8 mg/kg ogni due settimane, in 288 pazienti con RRMM altamente pre-trattati (mediana di precedenti linee di terapie 5-6), dei quali 51 erano stati in precedenza trattati già con anticorpi bispecifici o CAR-T diretti contro altri target. I tassi di ORR e ≥VGPR sono risultati simili nelle due coorti alle dosi di 0,4 (74% and 59%) e 0,8 mg/kg (73% and 73%), così come nei pazienti precedentemente trattati con anticorpi bispecifici e CAR-T (ORR, 63%, ≥VGPR 53%). La PFS mediana è risultata pari a 7,5, 11,9 e 5,1 mesi nelle coorti di pazienti trattati con talquetamab a 0,4 mg/kg, 0,8 mg/kg e precedentemente esposti a anticorpi bispecifici e CAR-T, rispettivamente. Il profilo di tossicità, in particolare per ciò che riguarda la CRS, l’ICANS e la tossicità cutanea/ungueale, sono risultate sovrapponibili nei tre gruppi di pazienti. Tale studio ha quindi confermato l’efficacia di talquetamab in pazienti con RRMM in linee avanzate, con risultati positivi anche in pazienti precedentemente esposti ad anticorpi bispecifici e CAR-T, rendendo quindi possibile un eventuale uso sequenziale delle diverse immunoterapie disponibili o in corso di sperimentazione.
Bahlis N, et al hanno presentato i dati aggiornati dello studio TRIMM-2 riguardanti l’associazione tra talquetamab e daratumumab. L’aggiunta di daratumumab nel contesto del trattamento con un anticorpo bispecifico trova il proprio razionale nell’effetto immunomodulante di daratumumab, in particolare sulle cellule “suppressor” CD38 positive, atto a favorire l’azione di talquetamab.
Sono stati trattati 65 pazienti con RRMM, di cui 88% erano già stati esposti, e nella maggioranza dei casi erano anche refrattari, ad un anticorpo monoclonale anti-CD38. L’associazione di daratumumab e talquetamab (alla RP2D, dose di fase 2 raccomandata) ha prodotto tassi di risposte del 75-76% nei pazienti refrattari ad un anticorpo anti-CD38 e del 100% nei pazienti non già esposti ad anti-CD38, con tassi di CR attorno al 50%. La PFS mediana è risultata pari a 19,4 mesi. Per ciò che concerne il profilo di tossicità della combinazione, l’aggiunta di daratumumab non ha avuto un impatto negativo sui tassi di eventi avversi, in particolare sul rischio di infezioni. Tali risultati risultano promettenti se confrontati con i dati di efficacia osservati nello studio MONUMENTAL-1 con talquetamab “single agent”.
Un altro studio di particolare interesse per la sua innovatività è lo studio di fase Ib REDIRECTT-1 (Mateos MV, et al), in cui è stata testata la contemporanea somministrazione di teclistamab (anticorpo bispecifico diretto contro BCMA) e talquetamab, strategia questa atta a limitare i meccanismi di resistenza, ed in particolare quello dell’antigen escape, al trattamento. Lo studio ha arruolato 93 pazienti (mediana di precedenti linee di terapia, 4) con RRMM, di cui 33% avevano una malattia ad alto rischio citogenetico ed il 38% presentava invece localizzazioni extramidollari (EMD). La combinazione dei due anticorpi bispecifici ha prodotto risultati estremamente favorevoli in termini di risposte e PFS; Interessanti sono stati soprattutto i dati di risposte globali e di remissioni complete (CR) nei pazienti con EMD (96%, 41%), molto simili rispetto a quelli della popolazione generale (86%, 29%). Nonostante tassi di risposta simili, la PFS mediana dei pazienti con EMD è risultata però inferiore (6 mesi) rispetto a quella della popolazione generale (21 mesi).
I risultati preliminari di questo studio hanno dimostrato la fattibilità della combinazione di due anticorpi bispecifici diretti contro due diversi target con dati di efficacia molto promettenti. In futuro sarà necessario confrontare tale strategia di combinazione con le strategie di sequencing per determinare quale sia l’approccio migliore.
Infine sono stati presentati da Mateos MV, et al i dati derivanti da due sotto-analisi dello studio randomizzato di fase III BOSTON , studio che ha confrontato l’associazione di selinexor (S), inibitore di XPO1 orale, con bortezomib e desametasone (Vd) alla doppietta Vd in pazienti affetti da RRMM (1-3 precedenti linee terapeutiche). Le due sottoanalisi avevano per oggetto rispettivamente la popolazione refrattaria a trattamenti a base di lenalidomide (106 pazienti) e la popolazione di pazienti naive a trattamenti a base di inibitori di proteasoma (95).Nella prima popolazione, l’aggiunta di selinexor alla doppietta Vd ha prodotto un aumento delle risposte (ORR, 68% vs 47%) e delle VGPR (36% vs 25%) e dimostrato un vantaggio statisticamente significativo nei confronti di Vd in termini di PFS (mediana, 10 vs 7 mesi, HR:0,52, p=0,012) e OS (mediana, 27 vs 19 mesi, HR:0,53, p=0,03), ad oggi prima tripletta ad aver dimostrato un vantaggio di sopravvivenza in questo subset di pazienti.
Nella seconda popolazione, la tripletta SVd ha dimostrato un vantaggio statisticamente significativo nei confronti i Vd in termini di PFS mediana: 29,5 mesi vs 9,7 mesi (HR 0,29; p<0,001). Tali dati evidenziano l’importanza di un doppio cambio di meccanismo d’azione in questa popolazione. Gli autori hanno anche confermato il profilo di tossicità precedentemente riportato dallo studio BOSTON, in cui l’aggiunta di selinexor si associa ad un maggior rischio di trombocitopenia e tossicità gastroenterica, risulato comunque gestibile attraverso una riduzione del dosaggio di selinexor.
A cura di:
Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università degli Studi di Torino, SC Ematologia U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino