Aggiornamenti dall’ASH 2016 sulla terapia dei linfomi non Hodgkin

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Come ogni anno, al congresso ASH 2016 (San Diego, 3-6 dicembre 2016) è stato dedicato ampio spazio alla terapia dei linfomi non Hodgkin (13 sessioni di comunicazioni orali dedicate) e sono stati presentati i risultati finali di importanti studi.

Linfoma follicolare

Lo studio GALLIUM (Marcus RE et al., Abs. 6, sessione plenaria) è uno studio internazionale randomizzato di fase 3 che ha confrontato obinutuzumab (G) (1.000 mg ai giorni 1, 8, 15 del ciclo 1 e al giorno 1 dei cicli successivi) vs rituximab (R) (375 mg/mq al giorno 1 di ciascun ciclo) + chemioterapia a scelta dello sperimentatore (CHOP, CVP o bendamustina) come terapia di prima linea dei pazienti con linfoma follicolare grado 1-3a in stadio avanzato o in stadio II con malattia bulky. Nei pazienti in risposta completa o parziale al termine dell’induzione era previsto il mantenimento con il medesimo anticorpo usato in induzione (ogni 2 mesi per 2 anni).

Sono stati arruolati 1.202 pazienti, 601 per braccio di trattamento. La chemioterapia più utilizzata è stata bendamustina (n = 827), seguita da CHOP (n = 433) e CVP (n = 141). La risposta al trattamento è stata simile nei due bracci (88,5% obinutuzumab-CT vs 86,9% rituximab-CT) ma la PFS a 3 anni (endpoint primario dello studio) è risultata significativamente superiore nei pazienti randomizzati a ricevere induzione e mantenimento con obinutuzumab rispetto a rituximab (80% vs 73,3%; p = 0,0012) (Figura I).

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Figura I: PFS per G-chemo e R-chemo nei pazienti con LF

La sopravvivenza globale a 3 anni nelle due coorti non è ancora significativamente diversa. Il tasso di infezioni severe (grado ≥3) è risultato superiore nei pazienti trattati con obinutuzumab (20%) rispetto a quelli trattati con rituximab (15,6%). Anche le reazioni severe correlate all’infusione sono risultate più frequenti con obinutuzumab.

Gli Autori hanno concluso che la immunochemioterapia con obinutuzumab dovrebbe essere considerata la nuova terapia standard per i pazienti con linfoma follicolare non pretrattati.­

Lo studio 35/10 del gruppo svizzero SAKK (Kimby E et al., Abs. 1099) ha arruolato 154 pazienti con linfoma follicolare grado 1-3a con necessità di trattamento. I pazienti nel braccio di controllo (n = 77) sono stati trattati con rituximab settimanale (375 mg/mq) nelle settimane 1-4 e 12-15 (8 dosi totali). Nel braccio sperimentale i pazienti hanno ricevuto il medesimo trattamento con l’aggiunta di lenalidomide 15 mg al giorno da 14 giorni prima della prima dose a 14 giorni dopo l’ultima dose di rituximab. L’endpoint primario è stato il tasso di remissione completa alla settimana 23 ed è stato ottenuto dal 42% dei pazienti del braccio lenalidomide + rituximab vs 19% dei pazienti del braccio rituximab (p = 0,001). Il tempo al ritrattamento è stato significativamente superiore nei pazienti trattati con la terapia di combinazione (Figura II).

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Figura II: tempo al ritrattamento per braccio di trattamento

Anche la durata della remissione completa (p = 0,04) e la PFS (p = 0,03) sono risultati superiori nei pazienti trattati con lenalidomide + rituximab. La sopravvivenza globale a 3 anni è identica (92% nel braccio di controllo e 93% nel braccio sperimentale). Al momento lenalidomide non ha indicazione in nessun Paese come terapia di prima linea del linfoma follicolare. E’ in corso un trial randomizzato di fase 3 che confronta rituximab + lenalidomide vs rituximab + chemioterapia: i risultati di questo studio potranno fornire ulteriori evidenze per definire il posizionamento e il beneficio della lenalidomide in questo setting.

Linfoma mantellare

Lo studio LyMa del gruppo francese LYSA (Le Gouill S et al., Abs. 145) è stato condotto su 240 pazienti con linfoma mantellare di età 18-65 anni, sottoposti a trapianto autologo e randomizzati a sola osservazione (n = 240) o mantenimento con rituximab ogni 2 mesi per 3 anni (n = 240). L’endpoint primario dello studio era la EFS a 4 anni, che è risultata significativamente superiore nei pazienti trattati con mantenimento (78,9% vs 61,4, p = 0,0016). Anche la sopravvivenza globale a 4 anni è risultata significativamente superiore (89% vs 81%, p = 0,045) (Tabella I).

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Tabella I: Endpoint di sopravvivenza dello studio LyMa

Questo studio ha quindi confermato nel setting dei pazienti più giovani trattati con autotrapianto il beneficio del mantenimento con rituximab già osservato nei pazienti più anziani dopo chemioterapia convenzionale (Kluin-Nelemans et al. NEJM 2012;367:520-31).

Lo studio RBAC500 è uno studio italiano promosso dalla FIL (Visco C et al., Abs. 472) che ha studiato la combinazione di rituximab, bendamustina e citarabina in pazienti con linfoma mantellare non pretrattato, età compresa tra 61 e 80 anni, non eleggibili alla terapia ad alte dosi ma profilo FIT alla scala di valutazione geriatrica. I pazienti trattati sono stati 57, con età mediana di 71 anni e nel 45% dei casi con alto rischio MIPI. La remissione completa è stata ottenuta nel 91% dei pazienti e il 55% di essi ha anche ottenuto una risposta molecolare completa. La riduzione della dose di citarabina a 500 mg/mq rispetto alla dose di 800 mg/mq usata nello studio pilota precedente (Visco C et al. J Clin Oncol 2013;31:1442-9) ha ridotto la tossicità ematologica. A un follow-up mediano di 35 mesi, la PFS a 2 anni è stata dell’81% e la sopravvivenza globale dell’86% (Figura III).

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Figura III: PFS complessiva e per sottogruppi

I pazienti con variante blastoide o Ki-67 elevato (≥30%) hanno avuto tuttavia una prognosi significativamente peggiore e rappresentano ancora un “unmet clinical need”.

Linfoma B diffuso a grandi cellule

Lo studio GOYA (Vitolo U et al., Abs. 470) è uno studio randomizzato di fase 3 che ha confrontato lo standard-of-care R-CHOP con obinutuzumab-CHOP (G-CHOP) come terapia dei pazienti con linfoma B diffuso a grandi cellule non pretrattati, a rischio IPI ≥2. I pazienti arruolati nello studio sono stati 1.418 (706 nel braccio G-CHOP e 712 nel braccio R-CHOP). L’endpoint primario dello studio era la PFS e ad un follow-up mediano di 29 mesi non si è osservata alcuna differenza tra i due bracci (HR 0,92; CI: 0,76-1,11; p = 0,39) (Figura IV).

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Figura IV: GOYA PFS

La tossicità ematologica (neutropenia) e gli eventi infettivi sono stati leggermente superiori nel braccio G-CHOP (19,2% vs 15,5%).

I risultati di questo studio sono quindi diversi rispetto a quanto visto nello studio GALLIUM e a quanto già noto nella leucemia linfatica cronica, un setting dove obinutuzumab ha mostrato un chiaro beneficio di PFS rispetto a rituximab. La ragione di questo diverso comportamento dei due anticorpi anti-CD20 in linfomi indolenti e aggressivi non è nota e merita approfondimenti biologici.

Lo studio 50303 del gruppo CALGB (Wilson WH et al., Abs. 469) è un randomizzato di fase 3 di confronto tra R-CHOP e lo schema Dose-Adjusted-EPOCH-R (etoposide, prednisone, vincristina, ciclofosfamide, doxorubicina, rituximab) in pazienti con linfoma B diffuso a grandi cellule di nuova diagnosi, stadio II-IV. Lo schema DA-EPOCH-R era risultato significativamente superiore a R-CHOP nei pazienti con linfoma di Burkitt e con linfoma B mediastinico (Dunleavy K et al. NEJM 2013;368:1408-16; Dunleavy K et al. NEJM 2013;369:1915-25). In questo studio il tasso di risposta è risultato simile nei due bracci di trattamento (CR: 62% R-CHOP vs 61% DA-EPOCH-R) e le curve di EFS (endpoint primario dello studio) e OS non hanno mostrato a 5 anni alcuna differenza significativa. Anche l’analisi per sottogruppi di età (≥60 anni vs <60 anni) non ha evidenziato differenze di efficacia tra i due trattamenti. La tossicità ematologica e non ematologica (mucosite, neuropatia) è stata significativamente superiore nel braccio DA-EPOCH-R. Questo studio non ha quindi confermato nell’intera popolazione dei pazienti con linfoma B diffuso a grandi cellule i benefici di uno schema intensificato che erano stati osservati in particolari sottotipi istologici.

Lo studio REMARC del gruppo francese LYSA (Thieblemont C et al., Abs. 471) ha indagato il ruolo della lenalidomide come terapia di mantenimento in pazienti anziani (60-80 anni) con linfoma B diffuso a grandi cellule. Si è trattato di uno studio randomizzato di fase 3 in doppio cieco che ha stratificato i pazienti in base alla risposta (CR vs PR) dopo terapia standard con 6-8 cicli R-CHOP, assegnandoli a un braccio di trattamento con lenalidomide 25 mg al giorno per 21 giorni su 28 (n = 323) o un braccio di controllo con placebo (n = 327). La terapia di mantenimento ha avuto durata di 2 anni.

A un follow-up mediano di 40 mesi la PFS mediana non è stata raggiunta nel braccio lenalidomide vs 58,8 mesi nel braccio di controllo (HR: 0,708; 95% CI: 0,537-0,933; p = 0,01) (Figura V).

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Figura V: studio REMARC: PFS

All’analisi per sottogruppi il beneficio maggiore è stato ottenuto dai pazienti più anziani (≥70 anni), da quelli in remissione completa dopo R-CHOP e da quelli con profilo genetico GCB. La sopravvivenza globale a 52 mesi di follow-up è risultata simile nei due gruppi. La tossicità ematologica (neutropenia) è stata significativamente più alta nei pazienti trattati con lenalidomide (56% vs 22% del placebo), mentre il tasso di seconde neoplasie primitive è simile (10% nel braccio lenalidomide e 13% nel braccio placebo). Si tratta del primo studio randomizzato che ha dimostrato il beneficio di un agente terapeutico come mantenimento nel linfoma B diffuso a grandi cellule.

Lo studio ZUMA-1 (Neelapu SS et al., presentato nella sessione late breaking abstract) è uno studio multicentrico prospettico di impiego della tecnologia CAR-T in pazienti con linfoma B diffuso a grandi cellule (n = 73) o linfoma primitivo del mediastino/linfoma trasformato da follicolare (n = 20) refrattari a precedente chemioterapia o ricaduti dopo trapianto autologo (Tabella II).

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Tabella II: ZUMA-1: Caratteristiche dei pazienti

I pazienti sono stati trattati con CAR-T anti-CD19 (2 x 106/kg) dopo condizionamento con ciclofosfamide e fludarabina. Il tasso globale di risposta (endpoint primario) è stato del 71%. Nei pazienti con più di 3 mesi di follow-up dopo l’infusione (62 su 93) il tasso di RC è stato del 52%. Come in altri studi che prevedono l’impiego di CAR-T si sono registrate reazioni severe da rilascio di citochine (13%), eventi neurologici severi (29%) e un caso di arresto cardiaco correlato a reazione infusionale. Il 38% dei pazienti ha avuto necessità di essere trattato con tocilizumab (anti-IL6), il 17% con steroidi e il 17% con entrambi: i pazienti che hanno ricevuto tocilizumab hanno avuto tassi di risposta superiori, indicando probabilmente una maggiore espansione in vivo dei CAR-T. Gli Autori hanno anche sottolineato l’alta efficienza della tecnologia impiegata, dal momento che in tutti i pazienti arruolati in questo studio multicentrico è stato possibile ottenere CAR-T con un tempo mediano di produzione di 17 giorni.

Infine, sono stati presentati promettenti risultati in numerosi studi di fase I e/o fase II con l’impiego di inibitori del checkpoint immune (nivolumab e ipilimumab: Ansell S et al., Abs. 183; pembrolizumab: Zinzani PL et al., Abs. 619) e con ibrutinib nei pazienti ricaduti/refrattari con linfoma B diffuso a grandi cellule (Goy A et al., Abs. 473) e linfoma marginale (Noy A et al., Abs. 1213).

A cura di:

Sezione di Ematologia del Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Verona

Massimiliano Bonifacio
Massimiliano Bonifacio
Sezione di Ematologia del Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Verona
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